11 settembre Sedici anni dopo 

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Ci sono giornate che ti restano dentro, il ricordo è appiccicato sulla pelle. Una di queste è l’undici settembre del 2001. Tutti più o meno ci ricordiamo quello che stavamo facendo ed improvvisamente il tempo si è fermato. Incollati davanti alle TV che immediatamente sospendono le trasmissioni regolari. I TG vanno in edizione straordinaria. Vediamo le immagini incredibili di aerei che entrano all’interno delle Torri Gemelle di New York che prendono fuoco. Negli attentati muoiono 2995 persone, tra cui 343vigili del fuoco e 60 poliziotti. La maggior parte delle vittime è civile. Settanta le diverse nazionalità coinvolte. Una tragedia che colpisce tutto il mondo. La popolazione americana è sotto shock. A realizzare il feroce attacco terroristico è il gruppo islamico di Al Qaeda guidato da Osama Bin Laden.

Da quel giorno di sedici anni fa, molto è cambiato nella nostra vita quotidiana. La paura insieme alla rabbia ha scatenato dei sentimenti tribali. Noi contro loro, si sente dire da allora e l’integrazione è diventata un percorso ad ostacoli. Nazioni popolate da figli di immigrati come la nostra e come gli Stati Uniti hanno improvvisamente avuto terrore del diverso, di chi aveva ed ha un carattere somatico che non corrisponde a quello degli occidentali compreso un ampio numero di cittadini americani e di persone che avevano vissuto e lavorato per tutta una vita a New York o a Washington. Sono morti in tutti questi anni uomini, donne e ragazzi colpevoli agli occhi del fantomatico Stato Islamico di vivere in un modo che loro rifiutano e combattono. Morte persone mentre erano in vacanza, accoltellati o travolti dai camion al grido di un Dio, “Allahu akbar”. Una escalation terroristica che prosegue mentre l’Isis sta perdendo e sta per svanire il sogno del Califfato.

Quello che non riusciamo a comprendere con i nostri parametri è il perché colpire gli uffici di un grattacielo, una strada nel cuore della Spagna o un locale di musica a Parigi. Persone indifese che vivono il loro tempo libero o di lavoro. Attacchi feroci da chi come spiega Ezio Mauro “è riuscito a trasformare una religione in ideologia e scagliarla contro un mondo che rappresenta l’eterno confronto, ineliminabile, contro cui l’Isis sa di aver perduto in partenza e per sempre l’arma dell’egemonia, della sfida culturale, tanto da regredire all’epoca primitiva degli omicidi rituali. Ciò che ci rende vulnerabili è esattamente ciò per cui ci attaccano: la nostra libertà, di cui siamo custodi e praticanti imperfetti, ma consapevoli.

La libertà dell’organizzazione della nostra vita, della sua combinazione con gli altri, della sottomissione spontanea alle leggi che ci siamo dati per regolare il nostro vivere sociale.
La libertà del movimento e della scelta, della vacanza e del lavoro, degli incontri e degli scambi, tutto ciò che fa di Barcellona – come di Roma, Parigi, Londra, Bruxelles e New York, dove tutto è cominciato con le Torri Gemelle – una città aperta, che guarda al mondo e sa ospitarlo nelle sue strade e nelle sue piazze, facendo mercato universale della sua storia, della cultura, dello stile di vita e dei suoi costumi. È questa la cifra civile che è sotto attacco e che dobbiamo difendere, per difendere ciò che noi siamo: o almeno ciò che vorremmo essere”. Una strage universale su larga scala iniziata 16 anni fa. La sfida è vincere quella paura senza abbandonarsi alla rabbia. La prova migliore è che chi abita nelle città colpite dai terroristi non ha cambiato le proprie abitudini. Si continuano a frequentare le città d’arte, i ristoranti e i negozi. Con la paura ci conviviamo da 16 anni, nessuno può rubarci la semplicità della nostra quotidianità.

di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud