Anche quest’anno è venuto il 2 giugno e, come di consueto, il compleanno della Repubblica è stato celebrato con la tradizionale parata delle forze armate al cospetto del Capo dello Stato e delle altre autorità della Repubblica. Abbiamo inoltre preso consapevolezza che decorrono i settanta anni dalla nascita della Repubblica. E dalla prima volta che le donne sono state chiamate al voto. Il diritto di voto fu esteso alle donne con il decreto legislativo luogotenenziale del 1° febbraio 1945 n. 23. Fu il primo lascito che la Resistenza, ancora in corso, consegnò al popolo italiano. Non fu una scelta per niente scontata, non solo perché rovesciava gli assiomi della cultura patriarcale largamente dominante, ma anche perché fu necessario superare il tatticismo elettorale, anche all’epoca presente nella pancia dei partiti della sinistra, che temeva il voto delle donne, considerate più vulnerabili all’influenza conservatrice della Chiesa cattolica. Qualche giorno fa il fondatore del giornale “La Repubblica” ha confessato di aver votato per la Monarchia al referendum istituzionale del 2 giugno, considerando che la Monarchia avrebbe offerto una maggiore resistenza alle pretese di egemonia del Vaticano. Il 2 giugno del 1946 è una data storica perché per la prima volta in Italia si è votato a suffragio universale. La Monarchia riportò 10.719.284 voti, la Repubblica ne riportò 12.717.923. La stagione del Regno d’Italia, iniziata il 17 marzo 1861, si concluse, così, per sempre. Il 2 giugno non è solo la festa della Repubblica: è la festa della sovranità popolare che per la prima volta si è espressa compiutamente. Gli italiani, stremati dalla guerra ma convinti della necessità di rinnovamento, si recarono in massa al voto, donne comprese, affrontando code lunghissime, rendendo onore al riconquistato diritto di voto, uguale per tutti, senza limite di censo, cultura e, per la prima volta, di sesso. In questo modo hanno dato vita ad una Repubblica che, nel suo primo articolo, riconosce che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. In ciò consiste la differenza fondamentale rispetto alla Monarchia. Nel Regno d’Italia esisteva una doppia fonte di legittimazione del potere sovrano, di origine dinastica e popolare, in quanto il Re esercitava il suo potere “per grazia di Dio e volontà della Nazione”. Nella Repubblica non possono esistere poteri (politici) non legittimati dalla sovranità popolare. Va da sé che la sovranità popolare si esprime massimamente attraverso la possibilità del popolo sovrano di determinare la composizione delle assemblee legislative, perché tutti i cittadini possano concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale (art. 49 Cost.)Dopo settant’anni la situazione internazionale e gli eventi della politica interna colpiscono profondamente il principio della sovranità popolare. Questo avviene soprattutto attraverso le riforme elettorali. La Corte Costituzionale, giudicando sulla legittimità del porcellum, ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza, concesso, senza soglia alcuna, in quanto comporta “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare”, calpestando la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto “che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”Con l’Italicum questo sfregio alla sovranità popolare viene reso ancora più incisivo, in quanto ad un partito che aggrega p. es. il 25% dei voti popolari viene concessa la maggioranza dei seggi nella Camera dei Deputati, calpestando la volontà espressa dal 75% degli elettori. Il capo del partito politico, beneficiario del “premio”, controllerà il governo ed il parlamento ed eserciterà un potere di fatto quasi senza limiti, che non deriva certamente dalla sovranità popolare. Così si realizza il dogma della “governabilità”, che tradotto in parole chiare vuol dire che quel che conta è che ci sia un governo che governi. Come nasce, com’è composto, come opera, quanto sia democratico, sono questioni del tutto secondarie. Rifritto, è il vecchio argomento dei sostenitori del principato: il principe garantisce un governo più stabile rispetto alle repubbliche. In questo modo la Repubblica si snatura e si avvicina ad un Principato. Ce lo richiede l’Europa, ce lo richiedono i mercati, ce lo chiedono le agenzie di rating e le banche d’affari americane. Proprio questo è un buon motivo per dire di no: per evitare che qualcuno possa fare la festa alla Repubblica.
edito dal Quotidiano del Sud