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Mentre sulla scena politica si susseguono banali rappresentazioni, il “contagio” del terzo millennio che investe fino a travolgere il senso complessivo delle esistenze e delle istituzioni impone una riconsiderazione radicale dei legami sociali e dei vincoli comunitari.
La comunità si è spezzata. Ecco perché la comunità va ricomposta.

I tempi critici che stiamo vivendo hanno rivelato il vero dramma del presente: la solitudine nello stare insieme. Alla comunità, a partire dalle sue fondamenta, manca solidità sociale, perché non c’è più solidarietà e coesione all’interno dei tessuti connettivi del debilitato corpo sociale.
Oggi, la persona, d’ispirazione maritainiana, è sempre più individuo e sempre più vicino alla dimensione del “solitaire” piuttosto che a quella del “solidaire” di matrice camusiana.
L’uomo è sempre più in bilico tra solidarietà e solitudine (solidaire ou solitaire).

L’iperindividualismo sta corrodendo, nelle fondamenta, l’impalcatura sociale. Con il risultato di rendere sempre più liquida una società nella quale tutto è fluttuante, e la vittima principale di questo imperante individualismo si chiama proprio “solidarietà”. La solidarietà è un principio ordinatore, anche la stessa politica e le istituzioni sembrano averlo dimenticato.

Non è da sottovalutare che anche in quelle piccole comunità di provincia, là dove erano immaginabili che si riproducessero processi esclusione e di emarginazione sociale, là dove la polverizzazione dei rapporti umani fino a qualche tempo fa era sconosciuta, avanzano risposte e relazioni che corrodono il senso stesso di appartenenza alla comunità.

La stessa soggettività primaria della comunità, di cui la Costituzione è intrisa nel suo dettato, con forti riferimenti a quel personalismo cattolico di Jacques Maritain troppo spesso obnubilato, è stata messa in discussione. Questo slittamento concettuale, questo smottamento ideologico hanno determinato lo spaventoso arretramento culturale cui miserevolmente stiamo assistendo.

Se da una parte il futuro della politica sembra essere scritto nella riscoperta del valore della “communitas”, dall’altra si fa già cogente la sfida di ricostruire la stessa idea di comunità.
Dire solidarietà è parlare di comunità, e la nostra comunità nazionale oggi è profondamente lacerata nel suo tessuto sociale più intimo, come testimoniano le cronache dell’emergenza che stiamo vivendo in un clima apocalittico.

L’Italia non riparte senza uno sforzo collettivo, senza che questo Paese decide, con un sincero atto di buona volontà, di riemergere dalla coltre di macerie che la stanno travolgendo. Di fronte al Paese Italia dovrebbe esserci un percorso comune fatto di unione e non di divisioni. Un Paese duale, purtroppo, ancora diviso tra un Nord e un Sud che si sentono estranei l’uno all’altro, che ha rimosso, appunto, la solidarietà come cemento di coesione sociale. La vera forza, anche di questa Italia stretta nella morsa di un evento drammatico, è rappresentata dal suo carattere resiliente.

Bisognerebbe riscoprire il valore della comunità a cominciare da un’idea diversa di Europa, riconoscendo le sue vere radici. Occorre restituire valore alla comunità e, conseguentemente alle persone, alle loro biografie. Un’Europa che deve ritornare a essere “Comunità” anziché “Unione”, riscoprendo quell’umanesimo integrale e quella dimensione comunitaria fino ad oggi  inconosciuti.

di Emilio  De Lorenzo