La solitudine dei numeri primi

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I numeri primi, o presunti tali, in un panorama di mediocri protagonisti politici, spesso sono soggetti alla solitudine. E’ quanto sta accadendo a Renzi ed al suo PD. Ha fatto una legge elettorale che prevede le coalizioni e non riesce a farne una.  Anche il buon Pisapia, anche se in ritardo, si è sfilato perché ha dovuto prendere atto che, malgrado gli sforzi ed i mallevadori, non è possibile alcun dialogo con Renzi. Nel contempo si è sfilato anche Alfano che ha deciso di non candidarsi alle prossime elezioni perché una larga parte del sua partito, attratto dalle sirene di Arcore, non lo avrebbe seguito. E anche l’accordo con Bonino e Dalla Vedova, con i quali non c’è nessuna assonanza politica, rischia di non andare in porto. E così sta rimanendo solo ripetendo l’infausta esperienza del referendum. Peccato che a sinistra, fuori e dentro il partito, ci sono ancora politici come Prodi, Veltroni, Orlando, Cuperlo – solo per fare qualche nome – continuino a sperare in un possibile accordo nella sinistra malgrado il carattere e, forse, l’obbiettivo di Renzi che finora ha sempre diviso. Non gli resta che accodare, alla faccia di una conclamata rottamazione i Casini ed i De Mita, fantasmi della prima Repubblica.

Renzi, che si considera il numero uno, si ritiene l’unico in grado di governare il paese, a dispetto di tutto e di tutti e, con il suo bagaglio di populismo e di favolista e continuando a fare promesse, non esita ad attaccare tutti, dai partiti, ai politici e perfino a pezzi dello Stato, nella considerazione di prendersi quel 40% dei SI al referendum (che sono più del 70% degli elettori) che considera suoi e di governare in loro nome.  La sua politica è divisiva e, invece di provare ad unire, in un equilibrio democratico, le varie anime di un Paese solcato da profonde divisioni, rancore e rabbia sociale, emarginazione e povertà, nel quale si stanno ingrossando perfino forze eversive, pensa di tornare a palazzo Chigi in forza di accordi di potere a prescindere da obbiettivi e valori condivisi accordandosi con il peggior Berlusconi di sempre. Se non fosse stata questa la sua strategia non avrebbe fatto approvare una legge elettorale melensa e pasticciata che non favorisce la governabilità, toglie ai cittadini il diritto di scegliersi i rappresentanti e continua ad allontanarli dalla politica.

La società italiana da sempre è portatrice di interessi, sensibilità, idee diverse e spesso confliggenti e che la politica, quella vera, dovrebbe tendere a portare a sintesi in un equilibrio democratico, come ha fatto la Democrazia Cristiana nel sua quarantennio di potere, utilizzando una legge proporzionale, e operando nel Paese partiti antisistema come il MSI ed il PCI. La situazione di oggi non è diversa da quella della prima Repubblica con l’aggravante che le ultime leggi elettorali hanno alimentato una maggiore frantumazione. Nulla tiene insieme – se non le sole tecniche elettorali – i partiti del Centro destra da Salvini, Meloni a Berlusconi. Nulla tiene insieme il partito di Renzi e del suo cerchio magico e la sinistra di Bersani/Grasso/Pisapia e l’antipolitica dei 5 Stelle, che sono vera mina vagante nel sistema.  Ci sarebbe voluta una vera catarsi della politica a partire da un profondo rinnovamento dei partiti che una legge elettorale intelligente avrebbe dovuto favorire. Una legge elettorale proporzionale, con una o due preferenze ed uno sbarramento al 3/%5 o ancora meglio una legge maggioritaria a sistema uninominale a doppio turno come in Francia per tornare nel territorio e coinvolgere i cittadini. Ma per questo non bastano i numeri primi: occorrono gli statisti!

di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud