I giochi di Salvini, Meloni e Renzi

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Nonostante l’opinone pubblica non ne abbia percepito il pericolo, quelle appena trascorse sono state settimane che potevano rivelarsi drammatiche. Per gli equilibri di governo. Forse per la stessa coesione sociale del nostro Paese. E come tali sono state vissute negli ambienti parlamentari e nei palazzi della politica, consci della delicatezza della situazione e dei rischi derivanti dal possibile deflagrare di scintille incontrollabili. Le diverse espressioni di malcontento popolare soprattutto da parte dei ristoratori, aggravate dal prolungamento delle chiusure per il permanere a livelli alti dei contagi della pandemia, sono esplose in diverse città. Simboleggiate dai disordini verificatisi davanti alla Camera dei deputati o sulle autostrade, sono state originate certamente da difficoltà reali vissute da varie categorie. Infiltrate da estremisti. Ma alimentate  anche da leader  che si erano detti responsabili, al di là della loro stessa collocazione parlamentare. Sarebbe stato però lecito aspettarsi comportamenti adeguati alla necessità di evitare ulteriori lacerazioni nel tessuto sociale. Invece, proprio nel momento in cui il Paese è sottoposto a una prova durissima, assistiamo a giochini irresponsabili. Infatti con metodi, mezzi e finalità diversi, lo statista di Rignano, il Capitone leghista Salvini e la pasionaria destrorsa Meloni hanno dimostrato tutta la loro disinvoltura. Dimenticato i morti giornalieri. Le tantissime persone ricoverate nei vari reparti ospedalieri. E le promesse fatte di non tradire l’unità nazionale invocata dal  Presidente della Repubblica. Il tutto per qualche punto nei sondaggi delle preferenze politiche degli italiani, che segnalano il lento prosciugamento di Iv, il vento in poppa per la Meloni e un costante arretramento della Lega per Salvini premier. Renzi ha rispolverato la minaccia della commissione di inchiesta sulla gestione-covid, che ogni tanto tira fuori come arma di “sganciamento”. Nel centro-destra, il progressivo ridursi della forbice  tra le due forze concorrenti ha fatto salire la tensione. Le ambizioni della leader di FdI allarmano in profondità il leader leghista, schiacciato tra la condivisione obbligata di scelte non facili da digerire e le continue incursioni della leader di FdI. Salvini, determinato a portare avanti la sua linea di distinguo, si è reso conto che non poteva attaccare direttamente Draghi. Ha ripiegato su Speranza, facendone il bersaglio dei suoi attacchi. E,  in un colloquio con la delegazione leghista, si era già beccato la presa di posizione del premier con il pressante invito a “rispettare il clima di unità nazionale” e ad “evitare le critiche, le polemiche e dispetti tra le forze politiche che fanno parte della maggioranza”. Nella conferenza-stampa, Draghi ha poi blindato il ministro con parole definitive: “Le critiche al ministro Speranza non sono né fondate né giustificate, dovevano trovare pace fin dall’inizio. Lo stimo e l’ho voluto io nel governo”. Avvertimento non casuale, considerato che nei giorni scorsi la pasionaria di destra – fra le tante possibili iniziative politiche che avrebbe potuto assumere – ha annunciato trionfalmente la  presentazione di una mozione individuale di sfiducia contro lo stesso ministro. E questo ha gettato benzina sul fuoco della concorrenza ormai spietata fra le due forze del centro-destra. La mozione, infatti, destinata prevedibilmente ad essere nulla nei suoi effetti sugli equilibri di governo, ha assunto la valenza di una misura provocatoria nei confronti proprio della Lega. Infatti, sia i deputati che i senatori di FdI non sono in. numero sufficiente per la presentazione di una mozione di questo genere. Ci sarà quindi bisogno di altre firme. E, poichè FI si è responsabilmente sfilata da tale improvvida iniziativa, la chiamata in causa era di fatto per la Lega. Messa di fronte a un dilemma. Sfiduciare il ministro, rendendo così visibile la realtà di una Lega ormai a rimorchio di Fratelli d’Italia. Oppure rifiutare la firma della mozione, come ora è avvenuto. Con il rischio di  perdere credibilità nel suo ruolo di coscienza critica dell’esecutivo. E di lasciare altro spazio a FdI. Insomma, la guerra tra i due demagoghi divampa!

di Erio Matteo