Melancolie e pensieri in settembre

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Pare proprio che settembre e l’Occidente abbiano un’essenza simile. Cui corrisponde un atteggiamento riflessivo della mente, quasi sospeso nell’indecisione, e una tonalità dell’anima e del cuore, che sa di malinconia. Gli è perché settembre è il mese della sera e l’Occidente è la terra della sera. Non a caso, la parola “Occidente”, derivando dal latino “occidere”, indica il “sol qui occidit”, il sole che tramonta. Questa parola si riflette nella parola tedesca “Abendland”, che significa terra (“land”) e sera (“Abend”). Una tale caratteristica, connessa al tramontare del sole nel giro che apparentemente fa intorno alla terra mentre è l’opposto,  si riflette nel modo di essere della storia dell’Occidente, secondo quanto sostiene Oswald Spengler in “Der Untergang des Abendland” (“Il tramonto dell’Occidente”). Per Spengler, ogni civiltà, nel corso della storia, è apparsa e poi scomparsa  perché  è pari a un organismo in sé compiuto e come tale nasce, fiorisce, invecchia e muore. Ne consegue che anche la civiltà occidentale è destinata al tramonto e alla fine. Come attesta l’epoca in cui viviamo: essendo caratterizzata  dallo spirito “faustiano”  del dominio umano della natura, il suo dispiegamento sta trovando la conclusione nella decadenza, detta “Civilizzazione”, in cui domina sulle coscienze, inaridendole, la stampa, che è “al servizio di quella cosa astratta che è la potenza della civilizzazione, il danaro”.

Alla decadenza ciclica, nel corso dei secoli, delle civiltà umane, nel corso pur esso ciclico dell’anno, anzi fondativo di ogni ciclicità, corrisponde in settembre se non la decadenza, il ripiegamento malinconico degli individui. Specie luglio ed agosto sono i mesi della lussureggiante, prepotente e intensa bellezza e sfavillio di forme e colori del paesaggio solare, terrestre, marino con il contrappunto della magia dello zefiro e dei profumi della notte. In questi mesi, come a raggiungere l’acme dell’espressione del loro essere-nel-mondo, in sintonia panica con la natura e con il suo splendore, ogni uomo e ogni donna, specie i giovani, esprimono la loro incontenibile  ardenza, quello spirito dionisiaco che dice sì alla voce della  vita e fa suoi i palpiti del cuore e i più frementi desideri dei corpi, che si uniscono  nell’amore. Invece in settembre, che è insieme estate che se ne va e autunno che viene, luci, sole, colori si attenuano lentamente quanto inesorabilmente e anche l’uva, il frutto dell’ebbrezza dionisiaca, è il dono di un’Alma Tellus che si accinge a risolversi nelle sue viscere invernali per preparare i suoi doni al nuovo anno e ai suoi viventi. In una sintonia con la natura che non sa più di unione ma di reciproco distacco, ogni uomo sente che un tempo della sua vita si è concluso, mentre la malinconia lo prende e i giorni hanno la tonalità tenue del farsi sera. Pur tuttavia, egli sa anche che deve accingersi a pensare a come vivere l’ultima fase dell’anno e a progettare l’anno che verrà.

Ma nella società nostra dell’universo merceologico e dei consumi, il rapporto immediato tra l’uomo e la stagioni si è andato in parte perdendo, facendoci diventare fruitori di piaceri in stagioni artificiali. Ecco perché,  in questo settembre ancora con il viso in maschera, coltivo il pensiero che l’Occidente e il mondo conoscano un nuovo inizio, in cui la  vita di ognuno torni ad essere tramata in modo da viverla in armonia con i suoi simili, con la natura e le sue  stagioni.

di Luigi Anzalone