Corriere dell'Irpinia

“Accadimento onirico” di Antonio Di Gennaro, una raccolta fra poesia e filosofia

Di Vivetta Valacca

Troppi credono che Poesia e Filosofia siano antitetiche: sentimento e ragione contrapposte; individualità contro universalità.

Non è così. La Poesia, la vera Poesia è espressione di una precisa individualità che sa farsi universale e non c’è vero poeta che non abbia una precisa e organica visione del mondo, una Filosofia di fondo che, attraverso la parola poetica, parla agli altri con una forza – quella dell’empatia e del sentimento – che la rende un veicolo di trasmissione ben più potente della mera razionalità.

Così non stupisce affatto che chi frequenti a lungo la Filosofia, a un certo punto, senta il bisogno di esprimersi attraverso la Poesia.

È quanto accaduto ad Antonio Di Gennaro, profondo conoscitore di Emil Cioran, che in Accadimento onirico (Nulla die Edizioni) dialoga appunto con Cioran a partire dal grido accorato del pensatore rumeno «…Siamo materia dolente, carne urlante, ossa rose da grida e i nostri stessi silenzi non sono che lamenti strozzati», un grido di dolore che apre la raccolta come una sorta di sottotitolo, di linea programmatica.

Lo stesso Cioran cammina sempre, del resto, sulla linea di confine tra Filosofia e Poesia.

Il canto di Antonio Di Gennaro è diviso in tre sillogi, Anima sottile – preannunciata appunto dal grido di Cioran -, Squilibri e She, e parte con il dolore dell’Addio, con l’epifania del noi, presto tradita dall’egocentrismo dell’io, in una lirica essenziale ed incisiva che sublima la difficoltà di far sopravvivere l’amore, o il bisogno dell’amore, in una quotidianità che uccide la speranza.

Il bisogno d’amore ci richiama a un mare più grande, universale e il conversare fra A e B in Dialogando sul mare, lirica che si fa prosa, reclama questo amore, un mare che «doni riposo dal tempo». Prosa/Poesia, Filosofia/Poesia in cui A (Antonio? La Poesia?) risponde all’interlocutore, scettico che questo mare possa esistere, «i poeti lo sanno».

Colpisce al cuore questa poetica di Antonio Di Gennaro, porta al confine stesso fra bisogno e rivelazione, pagina dopo pagina, e in Forse un Dio e in Eccomi come ogni sera Cioran si sarebbe pienamente identificato, nell’anelito a un «Divino – [o nostra idea]» che liberi dalla «…pena / di quel nulla / che scivola in sonno».

Ormai il libro si è fatto inesorabilmente preghiera. La preghiera lacerata, ridotta a un gemito o veemente di Cioran.

Ricordiamo tutti il monito di Apocalisse 3. 15-19: «Oh, fossi tu freddo o caldo… Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io sto per vomitarti dalla mia bocca». Cioran non era tiepido. Era freddo, se con “freddo” si intende qualcuno che non cammina nelle certezze, ma fervente, se con “fervente” si definisce il bisogno che è ricerca incessante, grido di dolore perfino nella negazione.

Ho chiuso con questo monito la recensione a Dio e il nulla. La religiosità atea di Emil Cioran, volume a cura di Antonio Di Gennaro e Pasquale Giustiniani. Ora questo monito mi sembra in perfetta sintonia con la preghiera di Accadimento onirico.

La preghiera si dichiara, si svela nella lirica Ho pregato alla tua mensa, con la rispondenza fra i versi 3-4 e 10-11 «questo è il mio corpo / questo è il mio sangue» «questo è il tuo corpo / questo è il tuo sangue», poiché il grido del Cristo agonizzante è il grido di ciascuno di noi, l’ «Elì, Elì, lamà sabactanì?» del verso finale.

Bellissima la lirica Perdono con un «io» che si riconosce «io-me tutto, / io-me niente». Poi due poesie d’amore, come «regno delle possibilità / irrealizzate» e il lamento definitivo de L’inganno di Dio, un Dio che «ci getta nella vita» e sul «nostro stare al mondo» come «un’inutile condanna da scontare».

La fine della silloge: la morte come pace.

Se Anima sottile trova nel grido di Cioran il proprio sottotitolo, Squilibri lo trova in Michelstaedter «…Poiché il dolore l’animo mi infranse / per me non ebbe più la vita un fiore».

Ricorda forse Gozzano il suo definirsi scarabocch-io, un io-macchia, ma tra sogni d’amore e nausea dell’«essere carne», l’interlocutore resta quel Dio nascosto che qui ha tradito Isacco: nessun angelo è venuto a salvarlo.

In Pensiero Antonio Di Gennaro conclude «il pensiero è una pallottola che vaga invano». Nemmeno i ricordi dell’adolescenza salvano dal non senso della vita.

In questa silloge la poesia tocca la sua vetta espressiva, limpida ed essenziale nella lirica Sguardo, che coglie l’attimo perfetto «Di indicibile / bellezza / trabocca», ma anche qui l’io è sconfitto, nell’impari fatica di esistere, perché trova solo un “ciao” mentre l’anima trabocca d’amore inespresso.

Si chiude la silloge con due prose filosofiche, Sulla poesia e Senso, esistenza, poesia, ed ecco che il filosofo e il poeta non possono che essere una cosa sola, perché solo la Poesia sa affacciarsi sul mistero dell’esistenza riportandone una qualche intuizione. Poesia necessaria…

Infine la terza silloge, She, introdotta da più citazioni, Hikmet, Bousquet, Qabbani, Aragon e Cioran, è interamente poesia d’amore. un amore pericoloso, che insegna il dolore.

Un amore che nella prima lirica dà il titolo all’intero libro: Accadimento onirico.

L’accadimento onirico è dunque l’amore? Non la vita? Forse entrambi…

Quel che è certo è che quando l’amore muore «Il braccio dell’escavatore / s’abbatte nel petto e / raschia l’anima».

Una poesia, quella di antonio Di Gennaro, cui non si può restare indifferenti.

 

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