Acqua, accordo tra Campania e Puglia: clamoroso dietrofront della Regione sulle sorgenti di Cassano

La giunta De Luca avrebbe già modificato la delibera del 433 del 3 agosto scorso. Ora il testo dovrà essere sottoposto all'esame del consiglio regionale

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Acqua, scippo delle sorgenti irpino atto quinto.   Si arricchisce di un nuovo capitolo la saga tra Campania e Puglia,  sui trasferimenti idrici interregionali, che ha ancora una volta come protagonista le sorgenti irpine. Stavolta in scena c’è il clamoroso dietrofront della Regione Campania sulla  gestione delle sorgenti di Cassano irpino.  L’equivoco istituzionale è sorto in seguito alla  delibera  n°433 varata dalla giunta regionale campana del 3 agosto 2022 con cui il governatore della Campania istituiva il sistema di grande adduzione primaria costituito da tutte le infrastrutture e sorgenti ritenute strategiche in ogni distretto. Con la  delibera firmata ad agosto 2022 dal presidente Vincenzo  De Luca la sorgente di Cassano e la sorgente di Baiardo a Montemarano passano sotto la titolarità della Regione quale parte integrante del sistema della Grande Adduzione Primaria di Interesse Regionale.

La controversia  nasce proprio sul destino della gestione dei capi sorgentizi di Cassano Irpino, che  forniscono acqua  non solo agli abitanti dei 118 comuni della provincia di Avellino, ma anche alle popolazioni di Puglia e Basilicata, nonché a sei centri abitati della provincia di Campobasso. Secondo il piano idrico  messo in atto dal governatore De Luca  sui  2400 litri disponibili delle sorgenti  di Cassano: 1.800 litri di acqua al secondo, una delle quattro fonti che alimentavano Acquedotto Pugliese dovevano essere destinati  alla Campania . Mentre alla Puglia  dovevano essere erogati i restanti 600 litri al secondo che in precedenza erano destinati ad Alto Calore.

Da qui la decisione  della Regione Puglia e Acquedotto Pugliese di impugnare gli atti di Regione Campania innanzi al Tribunale delle Acque sul caso di Cassano Irpino, rivendicando la demanialità delle sorgenti e delle opere di adduzione transregionali, costruite dallo Stato e dalla Cassa per il Mezzogiorno.

Ma prima che il tribunale delle Acque si esprimesse in merito al ricorso della Puglia la giunta regionale ha preso coscienza della  svista giuridica passata inosservata anche all’Ente idrico campano: la concessione delle sorgenti sarebbe di competenza statale.  Da qui la decisione di  presentare nei prossimi giorni al Consiglio Regionale delle integrazioni alla Delibera di Giunta del 3 agosto 2022 – poi recepita dalla Legge di Bilancio per il 2023, per chiarire che tra le infrastrutture della grande adduzione primaria di interesse regionale della Campania, non sono comprese le infrastrutture  e le risorse di interesse interregionale, che rimangono assoggettate alla disciplina dell’accordo di programma vigente.  Se da un lato il governatore pugliese Emiliano  esprime la propria condivisione e soddisfazione “per questo chiarimento normativo che supera in modo soddisfacente ogni potenziale equivoco”, dall’altro la giunta regionale campana ha poco da gioire. Con la delibera del grande Sistema di adduzione primaria il  governatore Vincenzo De Luca riteneva di poter garantire la piena autonomia idrica alla Regione, che oggi sconta un “gap” sulle risorse idriche potabili di circa 6 metri cubi al secondo dovuto ai trasferimenti dall’ Irpinia verso la Puglia e dalla necessità di approvvigionamenti dal basso Lazio e dal Molise”. Un’ambizione  legittima che, per ora, sfuma del tutto. Ma purtroppo, al là degli annunci di De Luca, non resta che sottolineare che quello che fu definito un accordo storico con la Puglia per l’Irpinia si è rivelato ancora una volta un film già noto: l’Irpinia e lo scippo senza fine delle sue sorgenti.