Acqua, chi non ha peccati…. 

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Il problema non è che la papera non galleggia perché l’acqua è poca (come già avevo scritto alcuni mesi fa), ma che l’acqua proprio non c’è: di qui l’esasperazione che si trasforma in protesta e talvolta in gesti esacrabili. Andiamo per ordine. L’Irpinia è tra le province in Europa quella che possiede maggiori risorse idriche. Le principali sorgenti sono nell’Alta valle del Sele ( Caposele) alimentate dal massiccio del Terminio- Tuoro e Cervialto; nella Valle del Sabato con le sorgenti di Serino; nella Valle del Calore con le sorgenti di Cassano e dell’Alto Calore, mentre minori sono le sorgenti presenti nell’alta valle solofrana, nei monti di Avella e del Partenio. In realtà, a ben riflettere, non c’è zona in Irpinia che non abbia disponibilità della preziosa risorsa. Qui è il paradosso. Che così interpreto. Le acque delle sorgenti di Caposele sono state trasferite alla Regione Puglia, quelle delle sorgenti di Serino alla città di Napoli e, infine, quelle di Cassano, fatta eccezione per una minima parte, sono state trasferite ancora alla Regione Puglia. Per questo ho definito, sin dagli anni trascorsi, lo “scippo delle acque”. Sia chiaro: l’acqua è un bene pubblico e va gestito in solidarietà per cui qui non intendo assolutamente proporre una contrapposizione tra territori, ma rivendicare un diritto violato. Vediamo da chi.

Siamo agli inizi degli anni Duemila. L’Acquedotto pugliese da ente pubblico diventa privato. Fino ad allora le quote dell’Aqp sono nelle mani del ministero del Tesoro. Passano nelle gestione dell’Aqp a titolo gratuito. Il regalo lo fa Silvio Berlusconi a Raffaele Fitto, allora presidente della Regione Puglia e astro nascente di Forza Italia nel mezzogiorno. Si riunisce un tavolo di concertazione. Ne fanno parte, oltre ai rappresentanti del ministero del Tesoro, le Regioni Puglia, Basilicata e Campania. Quest’ultima è latitante.

Così mentre la Basilicata riesce ad ottenere parte delle quote del Tesoro, la Campania di Bassolino e De Mita resta a bocca asciutta. Lo strapotere dell’Aqp si espande fino a realizzare una seconda galleria a Caposele per captare maggiori risorse di acqua. Agli amministratori locali dell’Alta Irpinia non resta che andare con il cappello in mano per ottenere qualche minimo beneficio. La classe dirigente politica continua nella sua disattenzione e solo qualche esponente del Partito democratico, come ad esempio Rosetta D’Amelio, convoca assemblee di cittadini per far valere un diritto violato. Lo scippo comunque si consuma e ancora oggi produce rilevanti danni, oltre alla beffa, alla nostra provincia. Le responsabilità assumono caratteristiche diverse. Qui, in Irpinia, agisce l’Alto Calore servizi, ente che nel tempo ha subito diverse trasformazioni.

Cominciamo daccapo. L’Alto Calore nasce per volontà di Fiorentino Sullo, politico illuminato, più volte ministro e vero statista italiano. Sullo era legato visceralmente alla sua provincia e le realizzazioni che portò a compimento furono tante e tutte, come la Napoli-Bari, di straordinaria importanza per lo sviluppo della provincia. Fu lui, Sullo, a volere l’istituzione del Consorzio idrico Alto Calore (come una volta si chiamava l’ente) con il preciso obiettivo di rendere la risorsa acqua veicolo di sviluppo. Memorabili i suoi interventi sulla questione. Poi Sullo cade in disgrazia, combattuto da chi egli aveva allevato, dimenticato dalla provincia a cui tanto aveva dato. Sono storie che scivolano più dell’acqua stessa, ma che ancora oggi hanno il segno di una profonda ingratitudine.

Dopo il tempo di Sullo l’Alto Calore si trasforma in cosa altra. Diventa cassaforte del potere dominante, entra nel puzzolente mondo della corruzione e delle tangenti, gratifica le campagne elettorali dei potenti di turno, distribuisce consulenze e appalti anche ad avvocaticchi che preparano l’assalto al Parlamento nazionale, anche grazie a più parcelle che a volte vengono emesse in un solo giorno, s’ingolfa di personale figlio della malapolitica, diventa sinanche strumento di ricatti, fino a rischiare, come oggi avviene, anche il fallimento. Oltre tutto questo non manca una folle idea: lo sdoppiamento dell’ente, con la creazione di una società parallela e l’obiettivo di gestire il patrimonio.

Uno spreco insopportabile che si coniuga solo con il prezzo pagato alla malapolitica. L’inutilità di questa società si materializza con la sua liquidazione che, comunque, ha accumulato altri debiti. L’Alto Calore servizi (la società che resiste) finisce di essere preda dei grandi gestori della risorsa idrica. Da una parte l’Acquedotto pugliese, dall’altra la Gesesa sannita, facente capo all’imprenditore romano Caltagirone. Qui si apre un altro capitolo: l’appalto per la futura gestione delle risorse idriche. L’Alto Calore, indebitato fino al collo, ma con notevoli crediti non riscossi, non dispone dei requisiti per partecipare al bando di gara europeo. Requisiti che,invece, hanno sia l’Aqp che la Gesesa. Il rischio per l’Alto Calore è di essere travolto da colossi imprenditoriali. E qui ritorna il discorso sulla allegra gestione o meglio sulla politicizzazione dell’ente per fini elettorali e clientelari. Cambiano i riferimenti delle consulenze che non scompaiono.

L’ente, che pure vanta milioni di euro non riscossi, non fa nulla per introitare queste risorse sospese. L’ammontare è di circa 30 milioni di euro. Tra i debitori ci sono i Comuni consorziati come Avellino, Ariano, Mirabella, Montoro oltre a quelli sanniti, gli enti di servizio tra cui l’Azienda ospedaliera Moscati, l’Asi, l’Asl, oltre a noti imprenditori locali che devono pagare cifre che raggiungono in alcuni casi anche ottocentomila euro. E i sindacati? Dopo un lungo torpore, spiegabile anche con assunzioni di favore, si svegliano d’improvviso, Scoprono solo ora che ci sono esuberi, che è scomparsa la figura del lettore dei contatori, che le reti idriche sono fatiscenti. La risposta a questa ultima emergenza è nei fatti: gli sprechi, l’uso di parte dei fondi destinati al risanamento è stato nel tempo deviato per la malapolitica. E’ stato così che la rete idrica è diventata un colabrodo, Si perde mediamente il cinquanta per cento del’acqua immesso nelle condutture, in alcuni casi si raggiunge anche il settanta per cento. Ci si trova insomma di fronte ad un dilemma cornuto: o si nutre la malapolitica o, al contrario, si rende un servizio al cittadino, riammodernando le infrastrutture. Capite bene qual è stata la scelta fino ad oggi. Da tutto ciò è nata la gravissima emergenza che l’Irpinia sta attraversando.

E’ vero la siccità estiva ha determinato minore disponibilità di risorsa. Ma se l’idrovora delle clientele, oggi come ieri, fosse stata messa da parte per favorire una politica di investimenti delle reti, o di maggiore attenzione perchè lo scippo fosse evitato, gli utenti irpini non si troverebbero con i rubinetti a secco. Con un’incidenza sugli altri settori : ristorazione in crisi, attività commerciali costrette spesso a rinunciare al loro ruolo, famiglie vessate per un servizio non reso, e tuttavia costrette a pagarlo. Ma che volete che vi dica: così gira l’Irpinia e, più in generale, la città di Avellino. Qui un sindaco di fronte alla grave emergenza del pericolo di scuole suggerisce il ritorno ai prefabbricati del terremoto. Così per l’ac – qua: il problema si risolve riempendo le taniche quando si ha la fortuna di intercettare un fontanino pubblico che ha ancora l’ardire di fare arrossire di vergogna chi della gestione delle risorse idriche ne ha fatto e sta facendo merce di scambio. Come dire: chi non ha peccati scagli la prima pietra.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud