Acqua, tra scippi affari e sprechi 

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Dunque il presidente dell’Alto Calore, Lello De Stefano, si accinge a gettare la spugna. Le sue dimissioni sono attese tra qualche giorno nelle mani dei sindaci irpini aderenti alla società. La vicenda dell’ente, e del tempo che ha attraversato, merita, a mio avviso, una riflessione. Essa parte da una considerazione che ha visto questo giornale, e chi scrive, protagonista per anni della cosiddetta battaglia dello “scippo delle acque”. Cominciamo daccapo, Negli anni immediatamente dopo il dopoguerra fu un autorevole esponente democristiano, parlamentare e ministro, Fiorentino Sullo a coniugare la risorsa acqua con lo sviluppo dell’Irpinia. Intuizione che si concretizzò con la nascita del Consorzio Alto Calore. Chiaro l’obiettivo: fare dei potenti bacini idrografici irpini un punto di riferimento per la crescita economica e sociale della realtà. Soggetti protagonisti dovevano essere i sindaci consorziati attraverso una gestione comune che realizzasse e salvaguardasse le condotte idriche. Gli inizi furono entusiasmanti. Non a caso gli investimenti della Cassa per il Mezzogiorno, grazie a Sullo e al presidente Pescatori, furono copiosi e la rete infrastrutturale ne ricevette grandi benefici. Poi Sullo, e con lui il parlamentare altirpino Indelli, dovettero soccombere rispetto alle volontà egemoniche dell’assetata Puglia che, con la complicità della sua classe dirigente, mise le mani sui bacini idrografici irpini. L’acquedotto pugliese, attraverso varie vicende, che qui sarebbe lungo annotare, divenne il primo interlocutore della gestione dell’acqua, in virtù del fatto che la maggioranza delle quote societarie furono assegnate al ministero del Tesoro. Per anni il conflitto tra istituzioni irpine e pugliesi ha fatto registrare polemiche aspre, senza mai approdare ad una soluzione soddisfacente, almeno per quanto riguarda l’Irpinia.
Intanto, passata la stagione sulliana, l’Alto Calore cambiò pelle. In poco tempo si trasformò, insieme all’ospedale civile di Avellino, nella più “grande fabbrica occupazionale della provincia”. Rappresentò, in breve tempo, la risposta a quel posto fisso che negli anni sessanta, era diventato miraggio per tanti giovani disoccupati. Solo che non fu il merito a selezionare gli addetti, ma quella radice del male, che era il clientelismo. Non solo. Con il passare del tempo l’ente divenne soggetto di importanti finanziamenti per la ristrutturazione delle reti idriche che, invece, si trasformarono in stipendi per gli occupati, occasione di spartizione di consulenze legali, appalti agli amici degli amici. La nobiltà dell’idea sulliana si frantumò nel becero clientelismo di una classe dirigente politica affamata di potere per alimentare il voto di scambio. Non finisce qui. L’ente torna clamorosamente alla ribalta negli anni di Tangentopoli. quando il tintinnio delle manette suona nel sottoscala dell’ente dove furono nascosti soldi maleodoranti in cambio di compiacenti appalti. Fu quella una pagina triste e dolorosa che, però, raccontava della trasformazione di un ente di servizio in presidio di clientele. Tutto ciò accadeva mentre le reti idriche diventavano fatiscenti, causando perdite di risorse ingenti che si disperdevano tra le ferite delle condotte. Tuttavia sul dibattito acqua pubblica o privata, si apriva una nuova e diversa partita, E’ a questo punto che matura lo “scippo delle acque irpine” da parte dell’Acquedotto pugliese. Presidente del Consiglio dei ministri è Silvio Berlusconi, che adotta, tra i suoi fedelissimi, il giovane presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto. E’ tanta la simpatia tra i due che il premier ordina al ministro del Tesoro, detentore delle quote dell’Acquedotto pugliese, di cederle a titolo gratuito alla Regione Puglia. Il provvedimento non passa sotto silenzio. La Basilicata protesta, la Campania è muta. Al tavolo della concertazione per la ripartizione delle quote, Bassolino, governatore della Campania, non c’è. Nessun parlamentare della classe dirigente politica irpina, allora in auge e con le leve del potere in Italia nelle proprie mani, presta attenzione al possibile scippo. Che avviene. Vergognosamente. Con un minimo di ristoro alla Basilicata che riesce a ottenere un sola quota dal Ministero del Tesoro. Per l’Irpinia la battaglia dell’acqua è perduta. La Puglia gioisce e si prepara a gestire il futuro. In tutto questo tempo l’Alto Calore irpino non tradisce la sua immonda mission: creare posti fissi per alimentare il voto di scambio e contribuire, attraverso scandalose consulenze, alla distribuzione di consulenze legali. E le reti idriche? Sempre più colabrodo. Di più. Il debito dell’ente diventa catastrofico. I Comuni consorziati non pagano, molti privati godono del beneficio della disattenzione amministrativa. L’acquedotto pugliese realizza un’ulteriore galleria per lo sfruttamento della nostra risorsa, in cambio di qualche mancia a chi dialoga con esso con il cappello in mano. Si fanno i conti: l’Alto Calore è indebitato per oltre cento milioni di euro. Qui si consuma l’ultima scena che vede protagonista il presidente De Stefano. Egli ha acquisito la necessaria competenza in materia, diventando un esperto a tutto campo. Ma è prigioniero della malapolitica del passato e dalle smodate ambizioni di chi intende gestire le nostre acque, profittando della crisi che attraversa l’ente. Si trova al centro di una battaglia tra squali. Con essi tratta e media De Stefano, ma è scarsamente considerato. Decide allora di evitare il fallimento dell’ente, assumendo un ruolo di grande responsabilità: il recupero dei crediti dell’ente; la redazione di un piano di ristrutturazione aziendale con i necessari tagli e la diminuzione degli sprechi; il confronto con la Regione che intanto agisce attraverso il neonato Ente idrico Campano, con il tentativo di salvare il salvabile. E, a conclusione di questi passaggi gestionali, annuncia le sue dimissioni. Anche qui i retroscena da raccontare sarebbero non pochi. Tuttavia, nonostante gli errori compiuti, non pochi, egli sceglie la strada delle dimissioni. Per l’Alto Calore, un tempo riferimento di servizio e di risorse economiche, si apre oggi una nuova pagina i cui contorni restano di grande preoccupazione.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud