Un poeta raffinato e sperimentale, sempre alla ricerca di nuovi linguaggi, sempre pronto a contaminare, a mescolare l’alto e il quotidiano o ancora lessici differenti. Si è spento Ugo Piscopo, classe 1934, irpino doc, nato a Pratola Serra, che lo aveva premiato con la cittadinanza onoraria. Una produzione, quella di Piscopo, poliedrica, capace di abbracciare la critica letteraria, il teatro, la saggistica, tra le firme più importanti del giornalismo culturale campano. Professore e preside nei licei e ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione, ha insegnato al Liceo Italiano di Tripoli, fino ad approdare nel 1983 all’Università degli Studi di Salerno. Tra le sue raccolte: “Catalepta” (1963), e (1968), “Jetteratura”(1984), “Quaderno a Ulpia la ragazza in mantello di cane” (2002), “Haiku del loglio e d’altra selvatica verzura” (2003), “Il ricordo del tempo di un bimbo che misura” (con Gianni Rossi, 2006), “Presenze preesistenti. Pietre di Serra di Pratola Serra”, “Lingua di sole” (2008), “Gramsci chi? (2013), “Omaggio a Piedigrotta Cangiullo” (2016). E’ autore di una trilogia Le Campe al Castello”, “Il Signor Padrone e il Misterioso Consigliori”, “La Bonifica. Ovvero Lit all’incanto”. Unanime il cordoglio del panorama letterario irpino e campano, a conferma dell’altissima statura del poeta e critico Ugo Piscopo. L’auspicio è che la sua Pratola possa rendergli omaggio con l’intitolazione di una piazza o di un premio. I funerali si si sono tenuti questa mattina alla chiesa di Santa Maria della Libera a Napoli. La messa di suffragio si terrà nella chiesa madre di Pratola Serra il 10 aprile, alle 17.Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista rilasciata qualche anno fa ad Antonietta Gnerre
Lei è scrittore, critico, saggista, storico, drammaturgo, poeta, traduttore e giornalista. Tutte queste declinazioni culturali camminano insieme?
“Possono, devono camminare insieme. È come nella vita di ognuno di noi. Noi viviamo, e, in quanto viviamo, non ci limitiamo a fare i viventi: pensiamo, giochiamo, lottiamo, ci rattristiamo, ci specializziamo in un mestiere, ci sposiamo, badiamo ai figli, ci esponiamo a rischi, partecipiamo alle attività ludiche, ai riti religiosi, alla politica. Proprio perché viviamo, facciamo per necessità o per scelta più cose. Anche chi si specializza, fa molte cose. Prendiamo un falegname o un commerciante. Ognuno di essi fa il mestiere come può. Ma oltre a fare l’attività specifica, fa tante altre cose che hanno rapporto con la sua vita: si sposa, fa i figli, si appassiona magari alla politica o se ne disincanta, prende una vacanza, se può va in villeggiatura. Analogamente avviene nel campo della letteratura, che è la mamma della poesia, della narrativa, della saggistica e di tutto il resto. Chi è poeta, deve conoscere i segreti della letteratura e deve sapere giocare con le sue possibilità”.
Come nasce la poesia nella vita di un uomo?
“Sono domande che concernono le origini del mondo e insieme l’ontologia. E tu sai che cosa è l’ontologia. Io non sono in grado di rispondere. Più giusto sarebbe parlare di che cosa è, come funziona la poesia, che razza di congegno è. Più comodo, poi, sarebbe per me parlare di me, delle mie personali esperienze. Ma, con questo, siamo nel campo della biografia. Se dovessi, però, fare il mio biografo, diventerei un po’ l’inventore di un racconto. E da poeta, farei il narratore. Dice uno scrittore francese: “Ma biographie?… Inventez-là”.
Lei esordisce negli anni ‘60 con “Catalepta”, una raccolta che parte dalla sua terra d’origine con un’impostazione “fortemente elegiaco-intimista”. Com’è nato questo quaderno?
“È nato dalla strage di molti “pizzini” e di molte prove, cominciate quando frequentavo la quinta elementare, nella germinante solitudine agreste di Serra. Poi intervenne un lungo periodo di mie difficoltà con la scrittura. La fontana magica si riaprì in prima liceale. Dal primo anno di università in poi ho cominciato a raccogliere e a selezionare i testi. Che auscultavano altri testi e altre maniere: di poeti italiani, di poeti francesi e inglesi, di poeti latini e greci. Cercavo l’essenzialità della parola su uno scenario intemporale, metafisico. E presi a nuotare nelle acque di un gran fiume, dove confluivano tanti linguaggi, tante voci. Quella raccoltina, pubblicata nel 1963, piacque a Diego Valeri, che mi scrisse un lungo e affettuosissimo testo. A Toffanin, che mi fece spaventare con certi giudizi favorevoli troppo altisonanti. All’amico poeta spagnolo Felix Murga, che se ne innamorò e fece avere un copia del quadernino a Jorge Guillén, che io ammiravo allo spasimo”.
Nel 1984 a distanza di lunghi anni dalla raccolta “e” , lei ritorna di nuovo sulla poesia. La raccolta s’intitola “Jetteratura” e segna un altro importante traguardo in campo letterario.
“In questo nuovo quaderno, la ricerca avviata continua più serrata.. Approfondisco e allargo il lavoro di destrutturazioni e di smagliature, con l’intenzione di contattare (o almeno suggerire) uno stile e un linguaggio che cominciano a rivelarsi per accenni e per discontinuità, per rinvii ad un dicibile del non detto, per attingimenti a offerte latenti tutte ancora da esplorare. È un distruggere, per ricreare stati e situazioni nascenti”.
La poesia maturerà ancora, con stimoli e nuovi flash intuitivi. Infatti, in “Metropolitana blindata”, si respira un dirompente sperimentalismo e l’impegno meridionalista.
“In quanto al nesso col Sud, non c’è stata mai oscillazione. Io sono nel Sud, sono il Sud. Sempre. E questo è evidentissimo nella mia produzione creativa (in versi e in prosa). A cominciare da “Catalepta” e ancor da prima. Anche quando parlo dell’Africa, mi riferisco sempre al Sud, ovviamente a un Sud su altra scala (geopolitica, culturale, ideale). E parlo del Sud, soprattutto se ne taccio, quando l’assumo a scenario oscuro del non detto o a fondale di acque che si screziano in superficie di scintille di cielo. Come accade, quando parlo della Germania o dell’Europa settentrionale o del Nord America. In quanto allo sperimentalismo, l’avvio (in do maggiore) è in “e”. Dopo il mio passaggio al modernismo, i miei contatti con Luciano Anceschi e la conoscenza di Edoardo Sanguineti”
Una nuova stagione si apre con l’epyllion del “Quaderno a Ulpia, la ragazza in mantello di cane”, dove lei riflette sulla condizione esistenziale dell’uomo. Con un gusto sperimentale molto vicino alla corrente dei Novissimi.
“Quest’altra stagione si avvia agli inizi degli anni Novanta e continua tuttora. In essa, perseguo l’obiettivo di una “nuova narratologia”. Chiedo allo stile e al linguaggio l’opportunità di consentire un respiro più continuo e leggero alla mia scrittura. Simultaneamente spingo la parola ad avviarsi verso nuovi orizzonti”.
Quali poeti hanno influenzato, in modo specifico, la sua scrittura?
“Sofocle e i lirici greci, Lucrezio, Orazio e Virgilio tra i latini, Paul Éluard tra i francesi, Jorge Guillén e Lorca tra gli spagnoli, John Donne e Dylan Thomas tra gli inglesi, i Beats tra gli americani, Goethe e Rilke tra i tedeschi. E poi tutti gli italiani, da Cavalcanti e Dante in qua, fino a Zanzotto e oltre”.
Il cordoglio degli amici
“Con Ugo Piscopo – spiega il critico Paolo Saggese – perdiamo uno dei maggiori intellettuali irpini del Secondo Novecento. Ma Ugo è stato innanzitutto un grande uomo di scuola, della gloriosa scuola italiana, un esempio di docente universitario e di liceo brillante, un preside, un ispettore ministeriale che credeva nella funzione della scuola, garantire ai giovani emancipazione sociale ed economica. Era un uomo che ha vissuto la propria vita come un’opera d’arte, ha sperimentato tutti generi poetici e letterari, la saggistica, la critica d’arte e letteraria.. Era un intellettuale completo che andava alla ricerca della continua sperimentazione, che si cimentava nella riscrittura letteraria, pur nel rispetto della tradizione, particolarmente attento al rinnovamento della lingua. Era, al tempo stesso, una persona affabile che aveva conservato un legame forte con l’Irpinia, a cui aveva dedicato i suoi scritti più profondi e duraturi”. Il poeta Alessandro Di Napoli sottolinea come “la morte di Ugo rappresenta per me un profondissimo dolore. E’ stato il primo critico letterario che, pur senza conoscermi, si occupò del primo esordio poetico, recensendo su Paese Sera, quotidiano allora nazionale la mia prima silloge “Le differenze”. Successivamente siamo diventati amici, ci sentivamo molto spesso e commentavamo ciò che studiavamo e leggevamo, in alcune occasioni ci consigliavamo i testi più interessanti da leggere. E’ stato un poeta di straordinaria vitalità e un critico letterario raffinatissimo. Con lui ci eravamo sentiti dopo le festività natalizie e ci eravamo soffermati su un dizionario della poesia italiana del ‘900. Entrambi sullo stesso avevamo espresso un severissimo giudizio. Ugo non si faceva condizionare dal rapporto di amicizia, era un uomo di grande sincerità intellettuale”. Commosso il poeta Peppino Iuliano: “Piscopo è una delle figure più significativedella letteratura italiana del Secondo Novecento. Si è sempre mostrato un maestro laico attento e discreto, la cui militanza e la cui freschezza d’utopie ci hanno accompagnato lungo questi anni. Irpino, ‘adottato’ a Napoli, è rimasto legato alla terra di origine e ai suoi “cento campanili”. Poeta narratore, epigrammista, giornalista ed opinionista brillante, l’amabile conferenziere senza spocchia, un vero maître à penser. Autore fecondo su più fronti ha congegnato un’invidiabile redazione di cose; significativa la pattuglia di critici ed estimatori: Valeri, La Penna, Della Terza, G. Barberi Squarotti, Galasso, Savarese, Sanguineti, Pedullà, S. Ramat, Manacorda. La sua generosità umana e creativa si evince dalle attenzioni riservate alle esigenze e alle voci degli altri”. “E’ stato sempre un vero punto di riferimento – spiega Mimmo Cipriano – per gli artisti campani, un uomo di profonda cultura e sensibilità”