Addio vecchia politica arrogante 

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Squilla il telefono. Sono da poco trascorse le sette di mattina. Ho addosso la fatica di una notte trascorsa tra exit-poll, collazione di dati, ascolto di dibattiti televisivi. “Pronto”, dico con voce ancora assonnata. Dall’altra parte del telefono un solo grido a squarciagola: “Libertà”. Penso che sia qualcuno che abbia voglia di scherzare, poi, lentamente arrivo in redazione e comincio a riflettere sui dati elettorali, ormai quasi definitivi e al cedimento di un sistema di potere inesorabilmente crollato sotto il peso di una valanga di stelle. Mi ritorna in mente quel grido a squarciagola: libertà. Di chi fosse importa poco. I contenuti ora sono sotto i miei occhi. E dicono che in Campania il Pd di Renzi- De Luca-De Mita appartiene ad una storia passata, quando nepotismo, clientelismo, promesse non mantenute avevano la meglio sull’ingenuità degli elettori.

Renzi è infatti il passato, De Luca clamorosamente ferito nei propri affetti ha smesso anche di gustare la frittura di pesce di un suo fido amico bocciato. E quanto a De Mita, uomo di pensiero, stavolta ha sbagliato i calcoli. Se il caro nipote fosse rimasto nel centrodestra senza farsi illudere dalle sirene del partito democratico dato per vincente le cose potevano andare anche diversamente. Il pensiero lungo a volte fa brutti scherzi.

Così è, e la vecchia politica finisce in soffitta. Non serve l’antica suggestione dei discorsi senza risultati, meno ancora l’arroganza del potere che ha costretto molto spesso le comunità ad inginocchiarsi per sopravvivere. No. tutto questo è archiviato. Almeno lo spero fermamente. Così come finisce sottoterra il metodo nepotistico di imporre un candidato appartenente, bocciato al cospetto del consenso del cittadino. E’ accaduto: stavolta l’elettore è diventato veramente arbitro, liberandosi dal vincolo di interessata appartenenza, evitando che quell’antica leva dei morti, di dorsiana memoria, potesse continuare cinicamente a fare danno alla comunità.

Il voto di marzo dice, con netta chiarezza, che i cittadini sono più avanti dei mestieranti della politica. Poco vale replicare a coloro che, sconfitti, vorrebbero etichettare il successo dei pentastellati come la protesta di un popolo ribelle, senza tener conto dell’avvertita esigenza di un cambiamento, sempre auspicato e mai attuato. E anche se fosse, chi condannerebbe siffatta protesta, considerato che la vecchia politica ha illuso il Paese, tradendo il mandato di rappresentanza? E il Mezzogiorno? Già ascolto le voci di chi, non domito, parla di masaniellismo meridionale, di rivolta delle forche, di un Mezzogiorno sudicio che coniuga lamento e protesta come copertura di un modo di vivere tra “canzonette e mandolino“. La verità è nella ragione stessa della protesta e della richiesta di cambiamento. Che viene soprattutto da quei giovani disoccupati che da anni alimentano il fenomeno della “fuga dei cervelli”; dalle famiglie che sono costrette a recidere le radici della propria esistenza per sbarcare il lunario in terre assai lontane; dal devastante precariato che illude e non risolve la grande questione del lavoro, vessato da forme di caporalato che sempre più s’impongono, da un incremento della povertà che rende le persone sempre più meno libere e fortemente diseguali. E’ solo responsabilità del popolo meridionale se questo accade? In parte è anche così. Non possiamo, non dobbiamo nasconderlo. Ma è soprattutto responsabilità di chi inventa masterplan come specchietto per allodole; di chi più che metterci la faccia nella lotta alla criminalità lascia spazio libero per l’agire di un Contro Stato che insanguina le regioni meridionali, impone il pizzo e coltiva il metodo usuraio a danno di chi ha intenzione di svolgere un’attività.

E allora: se tutto questo è nel Mezzogiorno, se il limite della sopportazione è stato oltremodo superato, si può davvero dire che il voto del 4 di marzo sia di protesta e non di mancanza di ascolto di questi territori? Ma ora è tempo che la speranza diventi politica del fare. E anche se i possibili scenari del dopo voto appaiono complicati per un governo di forte stabilità, la responsabilità nei confronti del Paese, e del Mezzogiorno in particolare, esige la costruzione di un programma credibile, che affronti i nodi centrali del Paese e si fondi su alleanze che sappiano far crescere il Paese e il Sud nell’Europa del futuro.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud