La forte spinta verso elezioni anticipate a breve, impressa dallo statista di Rignano al Pd, dimostra ancora una volta la sua irresponsabilità politica. Difficile definire altrimenti la pervicace volontà di trascinare il Paese, dopo il referendum, in un altro lungo periodo di scontro elettorale nonostante i gravi problemi aperti. Alcuni dei quali appartengono alla sua diretta responsabilità, come gli ingenti fondi dispersi a pioggia, l’aumento del debito pubblico di cinquanta milioni al giorno per ciascuno dei mille spensieratamente trascorsi a palazzo Chigi – che graverà sulle generazioni future – e le cifre della manovra di bilancio, da correggere secondo l’UE. Eppure uno scenario da brivido incombe sulla politica anche italiana. L’Europa, sempre più incapace di fronteggiare le emergenze, da quelle umanitarie a quella del lavoro, appare avviata a una progressiva perdita del suo ruolo politico. E quindi della sua stessa unità. Dovunque vengono alzati muri. Negli Usa vengono messi in discussione diritti che sembravano acquisiti per sempre dalla coscienza civile. Da noi, povertà in forte aumento. Tantissimi risparmiatori rovinati dalle numerose crisi bancarie. Centinaia di migliaia di giovani, anche diplomati e laureati, costretti ad andare a cercare lavoro all’estero. Intere parti del sistema economico e industriale italiano conquistate senza colpo ferire da raider d’Oltralpe. Moltissime scuole a rischio crolli. Grandi aree di territorio estremamente vulnerabili da alluvioni, incendi e calamità varie. La ricostruzione post-sisma nell’Italia centrale, che richiederà ingenti risorse finanziarie e attenzione prolungata, anche alla luce di alcune inquietanti rivelazioni dei sismologi su possibili eventi apocalittici, come il crollo di dighe. Infine, i miliardi di euro da trovare subito per far fronte alle richieste europee. Di fronte a tutto questo, lo spettacolo che stanno offrendo in questi giorni il Pd e il suo gruppo dirigente è a dir poco sconcertante. Le divisioni sulla data del congresso, l’evocazione di scissioni e i furbeschi ammiccamenti renziani su ricandidature in cambio di consenso sembrano ricalcare – pur nella assoluta diversità delle circostanze storiche e politiche – le circostanze che precedettero l’avvento del fascismo. I socialisti di allora, impegnati nelle loro furibonde lotte intestine, non si accorsero della rivoluzione che maturava intorno a loro. Con pari inconsapevolezza, oggi il Pd dimostra di avere lo sguardo rivolto tutto al suo interno, e di aver smarrito il senso delle sofferenze popolari e della depauperazione del sistema. La maggioranza del Pd invoca il ricorso alle urne come la panacea di tutti i mali. Senza però una vera proposta politica. Anche D’Alema – che, con il suo intuito, ha individuato un punto di rottura politica, superando le troppe contorsioni e indecisioni bersaniane – non può dirsi certo immune da responsabilità. E’ stato per anni il rappresentante di una sinistra immobile, compiaciuta di se stessa ma sempre più lontana da quella società che diceva di voler rappresentare. Così il Pd si è dimostrato un gigante con i piedi di argilla, che ha potuto essere agevolmente scalato perfino da un leader ad esso estraneo per cultura e valori di riferimento. Molti sondaggi testimoniano il crescente consenso all’esecutivo del tranquillo Gentiloni, a dimostrazione del fatto che il Paese non vuole essere continuamente eccitato e diviso. Con i venti di scissione che stanno soffiando impetuosi nel Pd, sarebbe difficilmente ipotizzabile – anche con le alleanze più impensabili – il raggiungimento del 40% per il premio di maggioranza. E allora, è legittimo il sospetto che si voglia almeno regolare i conti all’interno del pd per impadronirsene completamente. E portarlo, dopo le elezioni, su posizioni apertamente più vicine a un centrodestra che vede in disgregazione. Forse, tuttavia, l’unica verità l’ha detta il governatore della Toscana, Rossi, che ha bollato "la velocità senza pensiero di Renzi"!
edito dal Quotidiano del Sud