All’Istituto di studi filosofici a confronto su “Il terremoto dell’Irpinia”

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A quarant’anni dal sisma sono memoria e riflessione a intrecciarsi in uno sguardo che abbraccia la ricostruzione riuscita a metà, gli scandali che hanno accompagnato il dopoterremoto, le illusioni di una rinascita e di un riscatto che non ci sono mai state. Uno sguardo affidato ad immagini e pubblicazioni da parte di chi è stato testimone di quei giorni, di studiosi, giornalisti, fotografi per cercare di andare al di là di una celebrazione retorica e fine a sé stessa. E’ la sfida che lanciano Toni Ricciardi, Generoso Picone e Luigi Fiorentino con una preziosa pubblicazione “Il terremoto dell’irpinia”, Donzelli edizioni, che si fa tentativo di fare i conti con quello che è stato l’evento più catastrofico della storia repubblica, con tremila morti, novemila feriti e oltre trecentomila senzatetto.  Ricciardi ci ricorda come il terremoto del 1980 è stato consegnato a lungo “soltanto al canone giornalistico e, in particolare, alla declinazione dell’inchiesta giudiziaria famosa come Irpiniagate”, quella che è stata anche “l’occasione per strumentalizzazioni politiche che, rivitalizzando l’antico pregiudizio antimeridionale, hanno dato l’impulso decisivo a un movimento come la Lega nord e alla costruzione di una narrazione che ha visto nei decenni il riproporsi della questione settentrionale”. E’ accaduto così che “Gli oltre 60000 miliardi di lire spesi hanno definitivamente consacrato questo evento e la sua gestione come lo sperpero di risorse pubbliche e private più consistente della recente storia d’Italia”. Eppure era lo stesso commissario Zamberletti “Siccome l’Irpinia ha rappresentanze politiche significative, lo scontro politico supera completamente i problemi reali che devono essere valutati. Per intenderci, il Friuli non era terra di grande scontro politico, non aveva espressioni politiche significative, quindi non interessava a nessuno la battaglia politica sulla ricostruzione [… a chiarire come in Irpinia la denuncia degli sprechi fosse strettamente collegata alla battaglia politica”.  Il volume riesce nel tentativo non semplice di analizzare i punti nodali a partire da quella che è stata una “ricostruzione lenta, farraginosa, discussa e addirittura incompiuta che produce la categoria del terremoto infinito. Una ferita che ancora oggi non si è rimarginata, che resta aperta e segna un discrimine decisivo tra un prima e un dopo. Un prima che si era conosciuto poco e male. Un dopo che non si riesce a conoscere del tutto”.  Ad emergere la consapevolezza che pochi elementi hanno caratterizzato la storia e il futuro di questa terra come i terremoti e la migrazione, se pensiamo che solo nel novecento, in meno di un secolo, questi territori, con epicentri diversi, furono colpiti nel 1910, nel 1930 con oltre 1400 morti, e nel 1962 e che oggi continua a rappresentare una delle provincie che offre il contributo maggiore all’esodo. Grande attenzione è rivolta anche al tentativo di comprendere le modalità della narrazione del sisma, poiché, come ci ricorda Ricciardi, “La tragedia del 23 novembre 1980 si è offerta al racconto degli inviati come una materia di estrema suggestione, sulla quale il giornalismo italiano e internazionale è intervenuto con gli strumenti concettuali già emancipati dalla lezione appresa dalla tradizione anglo-americana tra i due tipi di scrittura delle news e della features, per altro in Italia mai assunta nelle sue applicazioni rigide, andando oltre la cronaca pura e semplice dei fatti”. Poiché il rischio dell’oblio collettivo, individuale o istituzionale è sempre alle porte come quello di una percezione distorta del passato, di qui la necessità di costruire una storia collettiva della tragedia.  Ricciardi parte dalle parole di Vezio De Lucia: “E’stata una resa senza condizioni. Le Regioni sono state accuratamente assenti. In particolare la Campania. Comuni piccoli e piccolissimi, non attrezzati, litigiosi, fragili rispetto alla prepotenza degli interessi privati, hanno gestito ciascuno molte decine, centinaia di miliardi. Primi beneficiari sono stati i tecnici dell’edilizia, architetti, ingegneri, geometri. È diventato il ceto più ricco, potente e famelico di questa parte d’Italia”. Un quarto di tutti i fondi della ricostruzione, grosso modo 15000 miliardi di lire, furono dunque spesi in parcelle tecniche con l’estensione delle domande ai nuclei familiari che abitavano nella medesima unità immobiliare. “A ciò si aggiunga il fatto, ampiamente affrontato anche dalla Commissione d’inchiesta parlamentare sulla ricostruzione, – ricorda Ricciardi – che nella metà dei comuni della sola provincia di avellino nei banchi delle amministrazioni edilizie sedevano gli stessi tecnici che di giorno redigevano le pratiche edilizie e la sera in giunta o in consiglio comunale approvavano le medesime richieste”. Ci fu, dunque, chi per venti anni attese il contributo, chi lo attese per anni ma allo stesso tempo i volti dei paesi cambiarono. Non hanno dubbio gli autori “Quarant’anni costituiscono un periodo ben sufficiente per tentare di comprendere davvero quanto accaduto dalla domenica della scossa del decimo grado della scala mercalli, sia nella distanza che il tempo ha sancito dalla contingenza politica sociale, per poter cogliere il significato profondo della tragedia, sia nel segno perdurante impresso nella storia d’Italia. Per delineare, in fondo, un esame di coscienza collettiva” e affrontare questioni cruciali, dalla questione meridionale alla necessità di garantire la sicurezza nelle aree. Mentre Generoso Picone sottolinea come leggendo i reportage di quei terribili giorni si ha l’impressione “Che il disastro provocato dal Terremoto, cioè, avesse squarciato il velo su uno scenario sociale e su un paesaggio umano per molti versi nascosto, lontano, sconosciuto se non rimosso e comunque relegato nello spazio di una rappresentazione in chiave retorica del Sud, con tracce di meridionalismo à la carte tanto da consolidarsi in uno stereotipo di convenienza”. Davanti a chi raggiunge le aree terremotate si spalanca un quadro agghiacciante e avvilente nella sua tremenda veridicità, che sembra andare al di là di luoghi comuni, una terra. Non è facile neppure fare i conti con la valanga di solidarietà che arriva da tutta Italia, pioichè ci ricorda Picone, il “flusso di aiuti finisce per urtare contro la diffidenza di un tessuto sociale e soprattutto politico che vede minacciato un equilibrio consolidato nei decenni”. Come è ben presto chiaro che l’obiettivo dell’Irpiniagate la classe politica irpina, da Ciriaco De Mita, presidente del Consiglio fino al 1989, a Antonio Gava, Paolo Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Clemente Mastella,  Franco De Lorenzo.  Fino a ribadire ciò che affermarono Viesti e Caporale, ne “La fabbrica del terremoto” al termine della ricerca condotta dall’Osservatorio del doposisma «È venuto il momento di dirlo: i soldi hanno spesso affamato il Sud»44 perché «al Sud non serve l’investimento straordinario, ma la quotidiana attenzione alla manutenzione ordinaria».  Interventi che hanno finito con il violentare i luoghi in molti casi “opere pubbliche e realizzazioni private tra gigantismo opportunistico e deliri geometrili che stanno a manifestare il disprezzo e l’offesa verso lo spirito dei luoghi: certo povero, magari ammaccato e precario nell’attraversamento dei secoli e delle contingenze della Storia e del Tempo. Però autentico, distintivo, identitario”. Tocca quindi a Fiorentino ricomporre la trama di ciò che è avvenuto fino ad approdare al presente, a partire dai problemi aperti con il sisma e l’incapacità di individuare un modello di intervento adeguato. “Oggi – scrive Fiorentino – l’Irpinia presenta un quadro di sviluppo con luci e ombre e, se da un lato, accanto al calo demografico, tipico delle aree interne della nostra penisola, persiste un tasso di disoccupazione giovanile ancora elevato, dall’altro, registriamo indici di crescita e presenza di infrastrutture pubbliche efficienti e abitazioni civili adeguate. occorre comunque oggi procedere con maggiore decisione verso politiche che consentano uno sviluppo più diffuso e concentrato su settori di punta quali l’industria avanzata (farmaceutica, aerospaziale, green economy), l’agricoltura di qualità e il turismo”.

Il volume sarà presentato domani alle 17.30, in streaming sul canale Youtube dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (https://www.youtube.com/user/AccademiaIISF?feature=sub_widget_1. Ne parleranno con gli autori il direttore del Quotidiano del Sud Gianni Festa e Sandro Dal Paz, docente dell’Università di Napoli – Federico II. L’incontro sarà introdotto e moderato da Aldo Cennamo.