Amministrare risorse e non macerie

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I partiti stanno facendo una sorta di gara per piantare le proprie bandierine all’interno dell’azione di governo. Un comportamento dal sapore strumentale visto che a decidere è quasi sempre il Presidente del Consiglio e l’opinione pubblica chiede altro e cioè certezze e non tensioni. Nessuna forza politica può al momento permettersi di uscire da questo esecutivo e dunque non ha molto senso politico accentuare il profilo di “lotta e di governo” che qualche leader della maggioranza continua a coltivare. Allo stesso tempo sembra anche irrealistica la prospettiva accarezzata da Pd e Cinque Stelle di un’uscita della Lega dal governo perché questo esecutivo si fonda su un progetto di larga coalizione e poi perché Salvini vuole partecipare e provare ad incidere stando dentro e non fuori. Se questa è la premessa tutte le polemiche quotidiane vengono derubricate a schermaglie almeno per il momento, certo una tensione permanente a lungo andare potrebbe anche modificare questo ragionamento e modificare gli attuali assetti. Il filo lungo il quale si muove Mario Draghi è dunque sempre molto esile e la vera prova per l’esecutivo comincerà agli inizi di agosto quando comincia il semestre bianco e Mattarella non potrà più sciogliere le Camere e poi in autunno quando ci saranno le elezioni amministrative che inevitabilmente aumenteranno lo scontro tra i partiti. Oggi però gli obiettivi del premier non cambiano: evitare i ritardi sul Piano Ue e la conseguente perdita di risorse previste per il nostro Paese. Queste priorità dovrebbero essere comuni a tutti i contraenti della coalizione di governo a partire dai due litiganti, Salvini ed Enrico Letta. All’esecutivo, insomma, non servono piccole risse quotidiane ma un progetto condiviso per evitare che il piano nazionale di ripresa e resilienza non resti solo un elenco di cose da fare.  Draghi è stato chiamato da Mattarella perché la politica è andata in affanno e non ha più saputo fornire risposte adeguate ad una crisi sanitaria ed economica senza precedenti. Questa legislatura è nata in un modo assai diverso rispetto a come si potrebbe concludere, è iniziata con la richiesta di impeachment e terminata con un governo del presidente per far fronte alla più drammatica emergenza degli ultimi cinquant’anni. Il tentativo di Draghi non va sprecato ma al contrario occorre mettere da parte le rivendicazioni di parte e ascoltare l’appello del capo dello Stato ad “aiutarsi vicendevolmente”. Mattarella e Draghi sono le figure chiave dell’attuale equilibrio e dalle loro mosse dipende anche la costruzione di un altro equilibrio. Oggi PD e Cinque Stelle sono orientati a prolungare il mandato di Mattarella e consentire a Draghi di finire la legislatura nel 2023. Un disegno che non piace al centrodestra che è pronto ad eleggere Draghi al Quirinale per votare nel 2022. Una differenza che sarà bene eliminare in fretta per non minare e compromettere il lavoro del governo. Come scrive Stefano Folli “alzare il livello delle polemiche nella maggioranza non scioglie nessun rebus. L’unica via sarebbe applicare il metodo dell’unità nazionale – lo stesso su cui si regge l’esecutivo – e scegliere insieme un nome prima che cominci la corrida parlamentare. Tuttavia siamo lontani da un simile approdo”. Occorre, dunque, evitare di logorare un governo di tregua nazionale e impegnato a far uscire il Paese dall’emergenza ma anche offrire l’opportunità a chi governerà dopo, di amministrare risorse e non macerie. La stabilità è quindi un valore che non si può disperdere, l’Italia ha ancora un debito pubblico insostenibile e ci sono riforme non più rinviabili come quelle del fisco o della giustizia. Recuperare il tempo perduto è dunque la vera sfida e non continuare a perderne dell’altro, non ce lo possiamo permettere.

di Andrea Covotta