Nelle ultime amministrative la partecipazione al voto è stata ancora più bassa. Hanno votato solo il 54,7% degli aventi diritto, il 5,4% in meno della volta precedente. Rispetto alle politiche del 2018 la percentuale è calata del 17,2%. E’ un trend negativo che si trascina, ormai da molti anni. Nel meridione l’affluenza al voto è ancora più bassa del centro-nord. Nei comuni dove si ripresentava il sindaco uscente l’affluenza è stata ancora più bassa. Solo a Palermo la partecipazione al voto è aumentata perché quasi sicuramente perché è legata alle dinamiche di competizione elettorale fortemente incentrate sul ruolo dei cosiddetti “signori delle tessere”, spesso connessi a filo doppio con la malavita organizzata. Lì il centro destra è stato sponsorizzato da personaggi come Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro! Il partito del non voto ha superato la maggioranza assoluta degli aventi diritto ed è più numeroso di tutti gli altri partiti messi insieme. Al referendum è andata ancora peggio: ha votato solo il 20% determinando una progressiva indifferenza ai quesiti referendari, spesso complessi e di difficile comprensione.
Quali le cause di una così diffusa disaffezione? Il costituzionalista Zagrebelsky analizza, da par suo, il problema. Una volta –scrive in un blog- si andava a votare “con il vestito buono” non solo perché era domenica ma perché “si festeggiava la riconquistata libertà e il diritto di partecipare”. Nel 1948 l’affluenza alle urne fu, infatti, del 92,3%. Oggi non è più così e la disaffezione verso la politica costituisce una minaccia per la democrazia. La questione è molto dibattuta anche tra i politici che, però, oltre alle promesse e ai buoni propositi, non fanno nulla per risolverla.
Qualcuno si consola sostenendo che l’astensione è fisiologica nelle democrazie avanzate e consolidate. Purtroppo la nostra è una democrazia ancora fragile, non è né avanzata né consolidata e prevale in molti la tendenza ad affidarsi all’uomo della Provvidenza e a quelli che strumentalmente si proclamano antisistema, sono populisti e promettono di cambiare le cose. Così è stato per Berlusconi, l’unto del signore, l’anti politico a parole “il teatrino della politica”; poi per Renzi il rottamatore, poi per i Grillini che promettevano di rivoltare il Parlamento come un calzino, ieri per Salvini, che ha posizionato la sua Lega su posizioni di destra anti atlantista e anti euro, oggi per la Meloni, destra della destra, che in Spagna, seppur in un comizio, ha pronunciato concetti che non sarebbero mai usciti dalla bocca non dico di un De Gasperi, di un Moro, di un Nenni o di un Togliatti, ma neanche di un Fini.
Una gran parte degli italiani ha perso la fiducia nella politica e nei politici di oggi, considerati arroganti e ignoranti intenti a conseguire solo tornaconti personali o di gruppo. La fiducia – scrive ancora Zagrebelsky- è un pilastro della democrazia, mentre la sfiducia un tarlo. Invece prevale la sfiducia come fenomeno di massa per rabbia, per scarso senso civico, per delusione, per disprezzo verso le Istituzioni e si avverte frustrazione e rassegnazione per un sistema che non funziona e non controlla. Questo stato di cose contribuisce a creare nel Paese un aumento della criminalità, un illegalismo diffuso, furbizia, sfruttamento delle Istituzioni, evasione fiscale, lavoro nero, emigrazione di giovani che dovrebbero garantire il futuro. I politici non sono all’altezza, la burocrazia si annulla nell’arzigogolare su leggi assurde ed incomprensibili e chi dovrebbe controllare non controlla.
Si dovrebbe cominciare con il ridare all’elettore il diritto di scegliersi i suoi rappresentanti. Ma anche in questa legislatura, con molta probabilità, non sarà varata una nuova legge elettorale e finiremo per rimanere con il pessimo rosatellum e la nomina dei parlamentari da parte dei loro capo bastoni!
La deriva continua.
di Nino Lanzetta