Avellino, tre anni dopo

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Tre anni. Tanti sono trascorsi da quando Paolo Foti si insediò alla guida della città. Bilancio fallimentare. La città in questo periodo ha conosciuto il punto più alto del degrado. Molte le motivazioni che rendono nebuloso il presente della città che fa registrare situazioni paradossali. Si parte dalla mancanza di autonomia del primo cittadino per finire ad una consacrata incapacità di dare risposta ai bisogni. E dentro tutto questo c’è la guerriglia con i dirigenti comunali e il sindaco, la tutela di interessi forti da parte di pezzi del Consiglio comunale (e di alcuni assessori) con interessi privati nella sfera pubblica. Non solo. La stessa questione morale, la più volte invocata necessità di legalità e di trasparenza gettano ombre spesse sull’agire stesso dell’amministrazione. Tre anni di litigi. Un tempo che si è consumato in uno scontro continuo prima ancora che tra maggioranza e opposizione, soprattutto nella stessa maggioranza. Con un partito, il Pd, incapace di dirimere i contrasti perché inesistente nell’assumere decisioni. Avellino muore perché la mediocrità favorisce il degrado, perché gli affari la violentano, perché l’individualismo e l’indifferenza hanno preso il sopravvento sul bene comune. In tre anni Foti le ha tentate tutte. Ha cambiato gli assessori (non quelli che sono i veri responsabili dell’agonia cittadina e che tutelano interessi), ha più volte promesso un’accelerazione del programma presentato all’atto del suo insediamento, ha fatto venire meno il contributo di idee che da più parti è emerso nella città. Ci sono fatti difficili da spiegare. Come la vicenda del tunnel. Il cantiere è chiuso. I lavori non proseguono. Il disagio è evidente. L’amministrazione non offre spiegazioni. Il buco è destinato a fare storia negativa. L’impresa D’Agostino, che è titolare del completamento dell’opera, resta immobile. Nessuno sa perché. Chi immagina che mancano i fondi, chi, invece, ritiene che vi sono ostacoli progettuali. E così quell’opera oggi resta senza futuro. Dal tunnel al Mercatone di via Ferriera. Chi sa spiegare che cosa si vuole fare di questo monumento all’ignavia che intanto continua ad introitare risorse? Di esso si è detto di tutto e di più. Si era detto di voler fare del Mercatone un parcheggio collegato al tunnel, oppure una moschea, o ancora una casa a luci rosse, o sistemare lì uffici dell’Asl e così via. Niente di tutto questo. Il mercatone oggi è l’emblema del degrado. I poveri lo usano per nascondersi di notte, qualche drogato di tanto in tanto viene pescato in overdose mentre continua la devastazione dei servizi. E l’amministrazione comunale? E’ totalmente assente. Tre anni dopo la questione della strada a scorrimento veloce Bonatti rimane ancora irrisolta. La via è aperta a metà. L’ultimo tratto è chiuso. Il cittadino avrebbe il diritto di sapere. In realtà, anche questa vicenda, come tante altre. è cosa loro. Come non pensare alla mancanza di trasparenza? E la vicenda del teatro Gesualdo? Al di là dei contrasti che si agitano sulle vicende amministrative, perché la giunta non approva il cartellone degli spettacoli? Anche qui interessi. Ombre dense di immoralità. Grandi consulenti che agiscono nell’ombra, ieri servitori di potenti padrini ed oggi alla ricerca di nuovi padroni, stanno condizionando il futuro dell’istituzione. Studi privati di consulenza e pezzi della gestione comunale si sono messi insieme per allungare le mani sul Gesualdo e farne così una importante vetrina per il voto di scambio. Sappiamo che la Procura della Repubblica, il suo capo Rosario Cantelmo, vogliono vederci chiaro. Si vada fino in fondo e se è il caso facciano sentire il tintinnio delle manette. Troppo marcio si nasconde nel ventre di Avellino, troppi affaristi si agitano per mettere le mani su quel poco di verde che è rimasto. Troppe complicità rendono nebuloso il futuro. Come non pensare allora che di fronte allo sfascio non si avverta un minimo di dignità? Una spiegazione c’è. Il Comune è diventato un covo di interessi diversi, dove lo scontro non è sui bisogni della città e il desiderio di innovare, ma sul controllo e la gestione del malaffare. Contro questo bisogna reagire e invertire la rotta. C’è un’altra città che deve scendere in campo: quella onesta, che ama Avellino, che non sopporta le angherie che essa sta subendo. Scenda in campo prima che sia troppo tardi.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa