Azioni concrete per il Sud 

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Voglia di restare e non partire dai piccoli centri del Sud. Vito Teti la chiama restanza un intrigante neologismo che il famoso antropologo calabrese utilizza per descrivere chi si oppone alla partenza dai desolati luoghi del Mezzogiorno, sforzandosi di continuare ad abitare in piccoli paesi.
La restanza così diventa una vera propria resistenza per quanti hanno deciso di non abbandonare i paesi di origine. Una permanenza non sempre dettata da necessità ma anche per libera scelta, sognando una crescita e uno sviluppo per queste realtà, a dispetto delle stesse statistiche che non descrivono un futuro roseo per le piccole comunità. Sarà stato questo a spingere il leghista Alberto Brambilla a fare una proposta per arginare il declino demografico che investe i piccoli centri. Dieci anni di detassazione completa per i quei pensionati che decidono di vivere in modo stanziale o temporaneo per almeno sei mesi all’anno nei paesi della Calabria, Sicilia e Sardegna, come avviene nel Portogallo, meta ambita dalla terza età, tanto che nel 2017 si sono trasferiti nel paese Iberico oltre 4000 pensionati italiani. Le cifre che accompagnano la proposta di Brambilla fanno sicuramente gola. Stando ai suoi calcoli nei prossimi 4 anni oltre 500 mila pensionati si trasferiranno nei paesi delle tre regioni. E così passiamo dalla restanza invocata da Teti alla “trasferenza” auspicata da Brambilla che pensa di far diventare il Sud una Florida italiana, trasformando i piccoli e abbandonati centri del Sud da paesi di soli vecchi a paesi per vecchi. La proposta sulla carta sembra funzionare ma sicuramente deve fare i conti con le carenze di cui sono vittime le zone interne del Mezzogiorno, a partire dall’insufficiente assistenza medica, alla debolezza del sistema dei trasporti a una quasi assenza delle strutture per il tempo libero, in generale ad una scarsa qualità della vita che porta in molti casi ad abbandonare i piccoli paesi non solo da parte di coloro che non hanno lavoro, ma anche da persone che, pur avendo un lavoro, decidono di trasferirsi in centri più importanti e più grandi, dove ci sono maggiori servizi a disposizione. Speriamo che la proposta di Brambilla non diventi la solita trovata elettorale per catturare voti da parte di un partito che cerca di espandersi al Sud dopo che per decenni ha insultato i meridionali osteggiando ogni politica di sviluppo e di investimento, utile a superare lo storico divario tra le varie aree dell’Italia. Ma al Sud e alle zone più interne dell’Appennino non servono ricette miracolistiche, ma azioni concrete, come quella portata avanti da alcuni giovani di Calabritto che hanno partecipato al bando emanato da Comune per la gestione dell’albergo diffuso nel borgo medievale di Quaglietta, restaurato e ritornato al suo antico e magico splendore. Un luogo suggestivo con ambienti gradevoli e con un ristorante dal nome intrigante di Silarus, in omaggio al fiume Sele che rappresenta l’anima e lo specchio della rigogliosa valle. Una scommessa quella dei giovani di Calabritto che li ha portati a restare nel Comune di nascita e ad affrontare una sfida che è il segno concreto di un’idea di sviluppo del territorio, partendo proprio dallo sfruttamento e dalla valorizzazione dei beni culturali e ambientali di cui l’Irpinia e le stesse zone dell’Appennino sono ricche. La sfida dei giovani di Calabritto è un segno di speranza per tanti come me che ancora caparbiamente credono nel futuro dei piccoli centri. Senza cedere a inutili romanticherie ritengo che i piccoli paesi rappresentano una risorsa economica poco sfruttata a causa del disinteresse della classe dirigente che non ha mai voluto concretamente scommettere nella valorizzazione dei piccoli borghi dell’Appennino che oltre ad una potenziale ricchezza economica, conservano anche una ricchezza sociale e persino spirituale, tanto che il famoso architetto polacco Libeskind considera i piccoli centri italiani «il Dna dell’umanità», definizione che sottende una crescente voglia di comunità che si manifesta sempre di più nella ricerca di sicurezza, ma anche di identità, negata dalla globalizzazione.

di Giandonato Giordano edito dal Quotidiano del Sud