Calandrone al Circolo della stampa: racconto la scelta d’amore di mia madre Lucia, vittima delle convenzioni sociali

"I pregiudizi continuano a condizionare le nostre vite. La letteratura è la vera arma di libertà"

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“Non ho mai avuto l’esigenza di raccontare questa storia, non ero ossessionata dai fantasmi di Lucia e Giuseppe ma, dopo averla scritta, ho sentito che avevo finalmente ritrovato mia madre”. Così Maria Grazia Calandrone racconta il suo romanzo “Dove non mi hai portata”, Einaudi, presentato questo pomeriggio al Circolo della stampa nel corso di un incontro, moderato da Gianluca Amatucci, promosso dall’Accademia dei Dogliosi, rappresentata dal vicepresidente Pino Lucchese. E’ la professoressa Ilde Rampino a sottolineare la forza della scrittura di Calandrone che si fa coacervo di emozioni, percorso di dolore e di amore. E’ quindi Ettore Barra di Terebinto a porre l’accento su come la storia di Lucia si faccia specchio di un contesto sociale di estrema povertà, come quello delle campagne del Molise negli anni ’50, da cui troppo spesso scaturisce la violenza.

“Ho capito di dover scrivere questo libro – prosegue Calandrone – quando mi sono resa conto che tutte le testimonianze raccolte consegnavano la storia di un’ingiustizia sociale e morale, come quelle che succedono ancora nella società di oggi.  Subito dopo un’intervista in televisione in tanti mi avevano scritto di aver conosciuto mia madre. Scrivere è diventato il mio modo per ricordarla e fare in modo che storie del genere non accadano più. Ho cominciato un viaggio con mia figlia Anna sulle tracce di Lucia, dalle campagne del Molise a Milano e ho compreso che quello che poteva apparire come un gesto di abbandono era una scelta d’amore e libertà. Lucia sapeva ciò che desiderava e aveva capito che non poteva vivere una vita schiava delle convenzioni sociali”.  L’autrice delinea uno spaccato terribile della società italiana del dopoguerra  “Malgrado i tanti passi in avanti compiuti sul piano dei diritti, convenzioni e pregiudizi – ci ricorda Calandrone – continuano a condizionare le nostre vite, soprattutto nei piccoli centri e nelle culture che vivono accanto a noi. Penso alla vicenda di Saman uccisa dai familiari perchè si era innamorata di un ragazzo italiano. Mia madre Lucia sarà costretta a sposarsi dalla famiglia, di fronte a un marito violento cercherà inutilmente aiuto nei genitori e nelle amiche ma troverà la sua unica salvezza in un uomo, Giuseppe, già sposato, ma capace di sognare, di cui si innamorerà. Deciderà così di abbandonare il tetto coniugale, andare a vivere con lui e avere un figlio. Sarà denunciata dal marito, secondo la legislazione del tempo, cercherà di fuggire ma capirà che non ci può essere futuro per due persone perseguitate dalla legge, di qui la scelta di uccidersi abbandonando la loro bambina a Villa Borghese”.

Spiega come “Oggi sono contenta di aver scritto questo libro per me e per i miei figli. La scrittura ha avuto un effetto benefico su di me, un effetto di cui non sapevo di avere bisogno”. Spiega come “Mia madre era legno di tempesta, sballottata dagli eventi, sapeva resistere ed era il sentimento l’unico timone che le consentiva di governare la propria vita”. Chiarisce come “Mi sono innamorata di mia madre Lucia  ma sono sempre stata orgogliosa di portare il cognome che porto, mio padre era un idealista, da metalmeccanico era arrivato al Parlamento, aveva combattutto come volontario nella guerra in Spagna”.

Sottolinea come “la letteratura non può salvare ma riesce a mettere ordine nei pensieri e nella realtà, aiuta a conoscere noi stessi e dunque a liberarci da sovrastrutture e pregiudizi. Insegna a pensare, ci trasmette un metodo per stare al mondo, un metodo che possiamo poi impiegare quando conversiamo con qualcuno o scegliamo chi votare, ci aiuta a diventare consapevoli”.  Pone l’accento sul ruolo cruciale delle associazioni culturali sui territori “La cultura è costruzione di un senso critico, di libertà, della possibilità di vivere in un mondo più simile a come dovrebbe essere”. Mette in guardia dai pericoli di una società “in cui rischiamo di tornare indietro e le conquiste in fatto di diritti, dall’aborto al divorzio, troppo spesso sono date per scontate”

Ribadisce come “tutte le storie sono degne di essere raccontate ma è inevitabile che faccia più presa una storia se riguarda la contemporaneità. Ciò che è importante è che venga raccontata così da essere universale, che non significa abbassare il livello della lingua ma renderla ipnotica, capace di raggiungere tutti”. Sulla sfida di educare i giovani alla lettura “E’ inutile fare teoria, non serve a nulla dissezionare il testo o fare una premessa sulla biografia dell’autore, la cosa migliore è leggere loro un libro, lanciare i ragazzi dentro il testo, saranno loro a trovare connessioni con la loro vita”

Preziosa anche la testimonianza di Antonietta Gnerre che sottolinea l’importanza di raccontare ciò che eravamo e ricorda i racconti delle donne della Valle del Sabato che andavano a Montefusco per abortire o avevano paura di dire ai mariti di essere di nuovo incinte.