Caso Acs, l’analisi di “Possibile”: il palazzo di vetro ha i vetri sporchi

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I recenti accadimenti che hanno travolto l’Acs restituiscono la rappresentazione della miseria politica di una città di provincia che non riesce a rompere l’insano filo che lega l’uso privatistico delle funzioni e dei beni pubblici, la costruzione di un consenso elettorale che si nutre del disagio sociale ed il sistema opaco delle cooperative sociali. Se dovesse essere confermato l’impianto accusatorio avremmo davanti il quadro devastante che renderebbe palese l’istituzionalizzazione dell’illegalità come regola dell’amministrazione della cosa pubblica. Il fatto più grave, infatti, è che questo sistema si sarebbe sviluppato negli uffici pubblici, come anche lo scandalo dell’Asl nonchè l’uso che si è fatto di Garanzia Giovani all’Alto Calore sono fatti tutti che confermano il quadro di una illegalità latente di cui è permeato ogni aspetto dell’operato delle pubbliche istituzioni, lì dove invece la legalità dovrebbe informare ogni aspetto dell’organizzazione e dell’esercizio delle funzioni pubbliche. Pur riconoscendo il nostro apprezzamento verso il lavoro della magistratura, il suo ruolo suppletivo è il dato più desolante con cui ci troviamo a fare i conti. Gli indagati avranno modo, come auspichiamo, di chiarire serenamente la propria posizione, ma questa vicenda ha già messo la politica di fronte alla sua sconfitta più umiliante. E’ evidente che l’amministrazione comunale avrebbe potuto e dovuto intervenire prima anteponendo la questione morale alla logica perversa del consenso del partito che la sostiene. L’amministrazione Foti aveva promesso agli avellinesi di trasformare il comune in una casa di vetro prima, poi per ripristinare legalità e trasparenza si è dovuta inventare un assessorato salvifico. Né il più alto degli impegni, prima, né il disperato tentativo, poi, hanno restituito alla città quanto già la legge prevede. La responsabilità di governo, cui si richiamata pedissequamente la maggioranza, si misura prima di tutto con il rigore della trasparenza e quando questa non chiarisce le zone grigie, ma le allarga, si impone l’onesta presa d’atto della propria incapacità a farlo. Il controllo formale che serve a mettere in ordine le carte, ma che è impotente, rispetto alla sostanza degli esiti, è nella sostanza un mancato controllo. Le misure tardivamente messe in atto dall’amministrazione comunale, non prima ma ad un anno dall’avvio dell’indagine non hanno sottratto la città alla vergogna dell’ipotesi che alcuni suoi amministratori sono indagati per peculato e corruzione, e non è rilevante l’entità delle cifre sottratte ma l’aver commesso o meno il reato. Abbiamo preso atto della solerzia e della puntualità con cui è stato rivoltato il Massimo cittadino, monitorando quotidianamente i flussi finanziari sul conto dedicato. Tuttavia non sfugge la contraddizione di una attività di controllo che viene applicata discrezionalmente dagli organi comunali preposti e che invece ci auguriamo ritorni ad essere la regola per tutti: istituzioni, partecipate, beni patrimoniali, contributi accordati che si amministrano in nome e per conto dei cittadini. La cura verso ciò che appartiene non a chi è eletto ma a chi elegge, giova ricordarlo sempre, si chiama democrazia.

Nino Sanfilippo
Portavoce Comitato Anna Lindh
Possibile Avellino