Centrodestra forte ma senza strategia

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Se ha perfettamente ragione Mario Draghi a definire eufemisticamente “improprio” discutere del Capo dello Stato “quando è in carica”, non ci si può tuttavia sottrarre da qualche considerazione sul clima politico e sulle prospettive che si intravvedono nelle polemiche in corso sulla successione di Sergio Mattarella. E questo perché la figura del Presidente della Repubblica, supremo garante della Costituzione e quindi non scalfibile dalla dialettica parlamentare, non è tuttavia completamente svincolata dal sistema, né al momento della sua elezione né nello svolgimento del mandato, quando anzi egli è chiamato direttamente in causa nelle fasi più delicate, come possono essere le crisi di governo o lo scioglimento delle Camere nel caso in cui il Parlamento non riesca ad esprimere una maggioranza. Da questo punto di vista, il comportamento di Mattarella è stato esemplare in una legislatura che si è aperta dopo una tornata elettorale che aveva visto un chiaro vincitore – i Cinque Stelle – non in grado però di formare un monocolore e quindi obbligato a dar vita a formazioni ministeriali effimere e contraddittorie. Quella oggi al governo fa registrare il paradosso del massimo dell’estensione (quasi tutti dentro) con il minimo della coesione, il che propone interrogativi inquietanti sulla durata e l’efficacia nella realizzazione del programma. Di fronte alla cacofonia delle quotidiane polemiche fra Lega e Pd, fra Enrico Letta e Matteo Salvini, vien da pensare che sia veramente Mario Draghi, il meno “politico” per curriculum ed esperienza professionale, il vero punto di equilibrio della legislatura e l’unica personalità capace di garantire una fuoriuscita ordinata dalla crisi sanitaria, economica e sociale provocata dalla pandemia. Anche per questo il nome di Mario Draghi è al centro di ogni combinazione politico-istituzionale. Ironicamente si potrebbe dire che con un suo clone – uno a palazzo Chigi, uno al Quirinale – avremmo risolto il rebus, ma chiaramente non si può. Arriverà dunque il momento delle scelte, che potrebbe coincidere con gli esiti delle amministrative di autunno, quando gli elettori e non più i soli sondaggi misureranno i reali rapporti di forza dei partiti all’interno delle due coalizioni, centrodestra e centrosinistra, che si vanno delineando. E’ prevedibile che le maggiori tensioni al momento latenti si sviluppino nella destra dello schieramento politico, dove la competizione per la leadership fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni è destinata ad accentuarsi. Il nocciolo del contrasto è legato proprio alla scadenza del Quirinale, alla candidatura di Draghi per la successione al Colle, all’ipotesi dell’anticipo elettorale subito dopo. La leader di Fratelli d’Italia, che tre mesi fa quando nacque l’esecutivo di unità nazionale chiedeva elezioni subito, ora vorrebbe prendere tempo perché si è accorta che stare all’opposizione paga e che se si votasse a scadenza naturale (2023) potrebbe contare su un bottino di voti più ricco di quello dell’alleato-rivale; il quale invece vorrebbe andare alla conta quanto prima per confermare l’attuale primato. Anche per questo si è scoperto fan di Draghi al Quirinale, incurante di un possibile sgarbo istituzionale.

Non è dato sapere come finirà una partita che ancora deve cominciare; ma pare certo che lo schieramento più forte sulla carta non ha ancora una strategia unitaria per vincerla.

di Guido Bossa