Chiedere di più alla politica

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La spallata salviniana non ha sortito l’effetto sperato. La roccaforte emiliana ha resistito e così il leader leghista deve attendere altre occasioni per sferrare l’attacco al governo e soprattutto al PD. Non è una sconfitta che però come pure è stato fatto da alcuni analisti assomiglia a quella di Renzi del referendum costituzionale. In quel caso ci fu la maggioranza degli italiani che disse no più che alla riforma al premier Matteo Renzi.  Oggi Salvini è ancora un leader molto popolare e il suo partito trasformato da movimento territoriale a partito nazionale è saldamente in testa nei sondaggi. Il centrodestra, anche per merito della crescita di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ha molti punti di vantaggio sia sul centrosinistra che sul Movimento Cinque Stelle. Le trappole però sul percorso salviniano non mancano. Innanzitutto il tempo. Il governo nato per evitare l’oda d’urto elettorale della Lega è ancora in piedi nonostante le continue tensioni come queste degli ultimi giorni sul tema delicatissimo della prescrizione. Due elementi giocano a favore di Conte. Il primo è il referendum che taglia il numero dei parlamentari e dunque chi oggi siede alla Camera o al Senato ha meno possibilità di tornarci. Il secondo è l’emorragia di consensi dei Cinque Stelle che obbliga i grillini a ricostruire per poi ripartire e le rifondazioni hanno bisogno di tempo e non di un voto anticipato. Naturalmente l’incidente parlamentare può sempre verificarsi e Salvini deve attenderlo o provare a provocarlo. L’altro aspetto è tutto interno e riguarda il centrodestra. Salvini ha sicuramente una fortissima empatia con larga parte dell’opinione pubblica ma molte sue dichiarazioni e tanti suoi atteggiamenti hanno spostato l’asse della coalizione a destra. Ha scelto di rappresentare le istanze della rabbia e del rancore gonfiando le paure e le insicurezze figlie della crisi e dell’immigrazione. Ha personalizzato e comunicato fino all’estremo e il suo successo è dovuto anche a questo modo di fare politica. Il leader della Lega però ora dovrà forse considerare qualche correttivo in una strategia di lunga durata se non vuole farsi troppi nemici. Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi hanno subito contrapposto alla sconfitta in Emilia della candidata salviniana la vittoria di Jole Santelli in Calabria. Un’affermazione letta come un successo dell’ala moderata rispetto al radicalismo leghista. Troppo poco per mettere in discussione la leadership di Salvini sulla coalizione ma un primo passo per ricontrattare le altre candidature in vista delle prossime regionali. Al di là delle schermaglie tattiche c’è un dato che però è fuori discussione. Salvini per mesi ha parlato solo di Lega adesso sa perfettamente che senza la coalizione di centrodestra è praticamente impossibile vincere. Un’inversione di tendenza che potrebbe acuire nelle prossime settimane le divergenze tra alleati. Molto dipenderà anche da quale legge elettorale si andrà a scegliere dopo il referendum del 29 marzo.  I nodi che Salvini deve sciogliere sono diversi e intrecciati tra di loro e poi c’è forse l’aspetto che il leader della Lega non dovrebbe sottovalutare quel disincanto populista per ora solo in fase iniziale che però un attento osservatore come Ezio Mauro ha già messo in evidenza sottolineando che “la novità più rilevante da contrapporre al meccanismo populista è quella tipica delle fasi nascenti: improvvisamente il Paese sente il bisogno di chiedere di più alla politica. Dopo la grande semplificazione è la prima volta. Più coscienza istituzionale, più fedeltà ai principi costituzionali, più rispetto nel discorso pubblico, più dignità nell’esercizio del potere, più senso dello Stato. Una parte sempre più rilevante del Paese rifiuta la banalizzazione quotidiana, l’egoismo del nazionalismo sovranista”. La vera partita per Salvini e per i suoi avversari si giocherà su questo terreno.

di Andrea Covotta