Come si uccide questa città

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Dunque ci siamo. Salvo colpi di scena martedì prossimo il Consiglio comunale del capoluogo è chiamato a votare il bilancio dell’ente. Esso è insieme un documento contabile, ma anche dal valore straordinariamente politico. In sintesi gli Avellinesi conosceranno quali saranno i punti di attacco della amministrazione guidata dal sindaco Paolo Foti. La vigilia di questo appuntamento si presenta a dir poco tormentata. Sul piano contabile si registra un inghippo di non poco conto. Il bilancio comunale sarà monco perchè le partite contabili che riguardano il teatro Gesualdo non saranno allegate al documento complessivo. Il rischio per i consiglieri, in caso di un loro sì al bilancio, potrebbe essere di rilevanza penale ( ad esempio il reato di falso) ma anche erariale (la Corte dei Conti potrebbe sollevare un danno al pubblico interesse). Sul piano politico Foti, nel caso non dovesse contare, in seconda convocazione, su almeno dodici voti della sua maggioranza egli pur non essendo costretto alle dimissioni (il Prefetto dovrebbe nominare un commissario ad acta per il Bilancio) proseguirebbe la sua azione senza una maggioranza, a meno che non venga sfiduciato dall Consiglio. Questo, in sintesi, il quadro della situazione, alla vigilia della seduta del Consiglio. Tento di andare oltre la fredda cronaca chiedendomi le ragioni per le quali si è giunti a questo punto. Le responsabilità, a mio avviso, sono di tre ordini. Il primo: l’inesistenza di un partito guida, il Pd, incapace di essere riferimento della realtà politicosociale del capoluogo. Il secondo: gli interessi che legano una mediocre classe dirigente che ha fallito nel suo disegno di allungare le mani sulla città. Infine. ed è il terzo punto, l’assoluta incapacità del governo cittadino di rispondere anche ai minimi bisogni della comunità.

Per quanto riguarda il ruolo svolto dal partito democratico in città esso è deficitario di autorevolezza, di responsabilità e di capacità di dialogo tra il Consiglio comunale e la comunità cittadina. Il Pd è una federazione di piccole bande, ciascuna delle quali non guarda al bene comune della città, ma ai posizionamenti futuri parlamentari e regionali. (E qualcuno forse aspirerebbe sin anche a sostituire Foti). Il direttorio (De Luca-Famiglietti- Paris e D’Amelio) che avrebbe dovuto accompagnare verso il congresso è diventato, invece, volgare momento di ulteriore lacerazione del partito stesso. L’idea di nominare un segretario cittadino, sia pure pro tempore, che potesse essere il filtro tra partito provinciale e amministrazione comunale, non è passata proprio perché ciascuno pretendeva un proprio uomo. Risultato: Foti è rimasto isolato. Peggio. Prigioniero di miserabili potentati che, lacerandosi, hanno contribuito ad affossare la città.

Al fallimento dell’azione del partito si accompagna l’inadeguatezza del governo cittadino. Per ben tre volte il sindaco ha tentato di correre ai ripari rimodulando la sua giunta (anche se qualche casella misteriosamente è diventata inamovibile), ma senza ottenere alcun risultato. Avellino oggi è una città senza anima in un corpo disadorno. Da un lato ci sono gli effetti della speculazione edilizia che ha divorato le colline circostanti alla città, dall’altra una spaventosa povertà che aumenta sempre di più. E’ totalmente fallita una politica per i i quartieri. C’è una separatezza tra i vari rioni cittadini a dir poco spaventosa. Non si è registrato alcun intervento per riammagliare il tessuto urbano e per quanto riguarda l’ipotesi di area vasta si è solo a piccoli balbettii senza idee. Non c’è pensiero per ciò che si vuole, mentre piccole isole di potere spuntano da ogni parte, ponendo anche una grave e grande questione morale. Ora si capisce bene che dopo Galasso occorreva normalizzare, puntare su uomini di apparato, pronti ad essere ossequienti rispetto a chi li aveva gratificati con un incarico. Questo modo di procedere mi riporta alla mente la nefasta esperienza dei comitati d’affari che avevano una loro strategia: portare al posto di comando esponenti obbedienti e agire dietro le quinte per allungare le mani sugli stracci di potere rimasti.

Naturalmente non mancano esempi. Mi viene alla mente quanto accade per il teatro “Carlo Gesualdo”. E’ evidente l’intenzione di un controllo politico dell’istituzione, dopo aver costretto Cipriano alle dimissioni. Non entro nel merito. Dico solo che le strade per ridare speranza al Massimo avellinese sono due. Una riguarda l’aspetto contabile e gestionale del passato, l’altra interessa l’attività propria del teatro con l’approvazione del cartellone proposto dal Teatro pubblico campano che si è aggiudicato la gara per la fornitura degli spettacoli. Eppure c’è chi tenta di confondere le cose. Gestione contabile passata e programmazione futura sono entrate in uno stesso calderone. Con aspetti a dir poco inquietanti. Come la vicenda del giudizio sulla gestione Cipriano che il segretario generale del Comune, (oggi commissario del Gesualdo) che a febbraio definiva del tutto regolare e inappuntabile ed oggi scopre che non è più così. E’ evidente che in una delle due fasi si è consumata una bugia. Non solo. Per la revisione della contabilità alcune scelte sulle persone incaricate risultano poco comprensibili. E intanto il “Gesualdo” muore, senza cartellone, senza possibilità di accedere agli abbonamenti, con una gestione burocratica che mortifica il ruolo stesso dell’Istituzione. Questo ed altri nodi sono i presupposti che oggi rendono nebuloso il voto sul bilancio comunale. Con il sindaco che sfida la sua maggioranza dicendosi pronti a tornare a casa in caso di voto di sfiducia (così tutte le responsabilità ricadrebbero sul Pd) e i consiglieri comunali che di fronte allo spettro dello scioglimento non vorrebbero mollare, anche perché certi di una difficile loro rielezione. Così muore Avellino, mentre i comitati di affari sorridono beffardamente.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa