Confimprenditori, Santoli: “Fare impresa non è peccato”

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Il nuovo governo ha appena preso forma e le indicazioni programmatiche finora emerse dovranno prima essere analizzate nel dettaglio e poi, ovviamente, nella loro realizzazione. Tra gli imprenditori circolano molte idee, ma quella comune, proprio perché non sono una forza politica, è che i governi si giudicano da quello che fanno. E Confimprenditori non ha certo atteggiamenti pregiudiziali, come non ne ha mai avuti in passato né ne avrà in futuro. Tuttavia, sulla base della reciprocità, non possono nemmeno esserci atteggiamenti pregiudiziali nei confronti delle imprese.

Anche perché il benessere, per essere redistribuito, deve essere prima creato. E purtroppo abbiamo di fronte un momento difficile. Il rallentamento del ciclo economico a livello internazionale rischia di abbattersi su un’Italia che da cinque trimestri è a crescita zero, con la produzione industriale che è in caduta perché anche l’ultimo motore che girava, gli ordini esteri, si è fermato. E questo perché molti problemi strutturali restano ferite aperte: i tempi della giustizia, l’esasperante lentezza della burocrazia, il difficile accesso ai mercati del credito e dei capitali di rischi sono nodi irrisolti.

Ecco perché bisogna mettere le imprese in condizione di lavorare, crescere e di creare lavoro e occupazione. Tra le molte proposte avanzate, per esempio, sembra quasi esserci unanimità su una riduzione del cuneo fiscale, cosicché possa diminuire l’enorme gap che c’è tra costo del lavoro e reddito percepito. Nel dettaglio, si può anche ipotizzare che l’intero taglio sia tutto a vantaggio del lavoratore. L’importante è che la vita delle imprese non venga ulteriormente complicata. Anzi andrebbe semplificata intervenendo sulla giungla di norme fiscali e burocratiche, sulle autorizzazioni, evitando leggi retroattive o stratificate, riducendo le cause del lavoro.

E non c’è dubbio che sia utile, anzi necessario, investire in formazione e ricerca. Tuttavia questo deve avvenire per migliorare le competenze dei (futuri) lavoratori, soprattutto in un’economia sempre più legata a tecnologia e innovazione. Certo, bisogna evitare che finanziamenti e risorse vadano a finire solo in spesa corrente, creando corsi e istituti utili solo a chi li gestisce. E si può anche decidere di intervenire nuovamente per salvare le finanze di Roma, ma senza che venga dimenticato né il Sud né il Nord.

Insomma, bisogna abbandonare ogni ideologia anti industriale e ogni filosofia che vede nel denaro il male assoluto da cui rifuggire. Chi fa impresa, chi genera profitto, e conseguentemente occupazione, reddito, benessere, contribuisce infatti a mantenere questo Paese nel club di quelli più avanzati. Nonostante non siamo una potenza nucleare, non abbiamo territori e risorse naturali illimitati, nonostante scelte sbagliate, nonostante tutto. Ecco perché fare impresa non è un peccato e qualunque siano le scelte del nuovo governo e della nuova maggioranza, le aziende non possono essere guardate con la lente del pregiudizio.