È davvero necessario recuperare una considerevole dose di fiducia nel futuro per non essere attanagliati da una paurosa angoscia all’inizio del nuovo anno, dall’orizzonte globale più grigio di quello che ci ha consegnato il 2018. I muri ciclopici di acciaio di Trump, focolai di guerra dappertutto, i gilet gialli sulle vie di Parigi, bambini autistici legati e seviziati, gli effetti devastanti di una crisi ecologica avvertita finanche nelle nostre campagne dove il ciclo biologico delle piante presenti squilibri stagionali mai notati, muri di indifferenza umana sempre più diffusi e la lista potrebbe continuare. All’interno della nostra cara Italia sembra riemergere il «diciannovismo» per ricordare il caos politico e culturale di una secolo fa, dopo la fine della Grande Guerra. Non c’è bisogno di scomodare i grandi filosofi del diritto per percepire che, ormai, la ricorrente contrapposizione tra la visione di uno Stato “etico” e uno Stato di “diritto” – ad opera di demogoghi ossessionati solo dalla ulteriore raccolta del consenso per la conquista totale del potere – va scongiurata con la necessaria mediazione tra le due concezioni dello Stato, sancita dalla Costituzione, e si rivela necessaria nei momenti più critici che la comunità nazionale attraversa. La miopia rispetto alle grandi questioni globali – immigrazione, questioni climatiche, rischi degli armamenti nucleari, decremento delle nascite nei paesi più progrediti – proviene da una classe politica italiana ed europea di preoccupante mediocrità. A fronte di questo grigiore politico e culturale figure di grande statura, come quella di Papa Francesco e di Sergio Mattarella, potranno ancora essere sorgenti di luce umana, culturale e politica? Questo è l’interrogativo che ci anima, ma che ci preoccupa nel contempo, perché se la stragrande maggioranza della nostra comunità nazionale, non prende necessariamente coscienza della necessità, sempre più urgente, di coniugare quotidianamente la sfera dei diritti con quella dei doveri, la deriva popolista e sovranista ci condurrà in un tunnel senza luce e senza speranza. Questo rischio, da più parti avvertito, dev’essere serenamente percepito da chi frettolosamente ritiene che rompendo i vecchi equilibri politici, economici e sociali, si arriva al tanto enfatizzato «cambiamento». Cambiamento da tutti auspicato, anche da chi avrebbe non poche motivazioni egoistiche per non volerlo, ma con la consapevolezza culturale e politica di una nuova stagione d’impegno e di partecipazione che coinvolga tutti, gli intellettuali, le famiglie, la scuola, le Chiesa locale, le forze sociali, gli operatori economici e i portatori di bisogni, in nome di una solidarietà senza confine che costituisce, oggi più che mai, l’indispensabile connettivo che ricostruisce un tessuto sociale diventato precario, senza una trama valoriale, che ci consente di respirare l’ossigeno della speranza alimentato dalla solidarietà e dall’inesistenza di muri e barriere non più pensabili nemmeno per le specie zoologiche delle foreste. La crisi italiana e quella europea vanno risolte con questa nuova presa di coscienza, animata dal monito dei risvolti storici vissuti dai nostri nonni e dai nostri genitori i cui racconti vanno restituiti per fare luce sul futuro. I prossimi appuntamenti elettorali europei vanno restuiti alla coscienza popolare protagonista e responsabile e non opacizzata dagli influssi deleteri della “cattiva politica”, quotidianamente proveniente da sedicenti politici la cui mediocrità è già evidente nel loro breve periodo di malgoverno.
di Gerardo Salvatore