Così l’Irpinia non ha futuro

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L’Irpinia ha ancora un futuro? Potrà averlo se la finiamo di piangerci addosso e di gridare al governo ladro e cominciamo sul serio a fare da soli! Le intelligenze ci sono e le risorse pure: basta saperle sfruttare e valorizzare. Certo, c’è un ma grande quanto una casa, una mediocre classe politica che predilige una altrettanto mediocre classe dirigente, che fa la sua fortuna appunto perché si mette al suo servizio a suo favore, sapendo benissimo che deve, spesso, barattare la propria dignità con la fedeltà al potente di turno, salvo offrirsi al successore. I nostri consiglieri regionali sono un esempio illuminante di mediocrità culturale e politica. Pensano ancora che emanare o ripristinare regole per dare incarichi e posti di lavoro ad amici e parenti, rientri nelle loro funzioni e che i cittadini li approvino senza batter ciglio anche quando si supera ogni limite di decenza e la protesta si fa generale, salvo a fare marcia indietro, senza dimettersi o arrossire, pensando al prossimo tentativo ad acque calme! Per molti l’esercizio della politica non è un servizio che si rende alla Comunità ma una sistemazione professionale, un trampolino di lancio, un modo più agiato di vivere a spese dei contribuenti ed il clientelismo e l’assistenzialismo sono i mezzi per mantenersi a galla. Fino a quando avremo questa classe politica e questa classe dirigente, purtroppo, non andremo da nessuna parte. Lo capiranno i giovani, alcuni dei quali devono, purtroppo, aggrapparsi alle tante promesse dei politici perché non sanno più a quale santo votarsi, e rendersi conto che il loro futuro se lo devono inventare e costruire da sé? Come stanno facendo alcuni coraggiosi in Campania ed anche in Irpinia con l’agricoltura, l’informatica, il turismo. Il caso di un giovane laureato di uno sperduto paese dell’Alta Irpinia, dove le strade sono ancora quelle dell’ottocento e l’agricoltura abbandonata come le case, ha capito la lezione ed invece di emigrare, come hanno fatto molti, ha sfruttato i propri terreni, nei quali in passato si coltivava orzo che nessuno comprava, ed ha creato dal nulla un’azienda per produrre una buona birra artigiana, fatta con il prodotto della sua terra e di altri che si sono messi a coltivarlo. Ha valorizzato ed incrementato manodopera locale e spinto a ricoltivare i campi abbandonati. Il suo coraggio e la sua intelligenza è stata premiata e la sua birra va a ruba anche grazie ad un mercato globalizzato che ha annullato le distanze. Dal piccolo garage e dai pochi macchinari sta ingrandendo l’azienda con la costruzione di un più grande e moderno capannone. Altri giovani, sulla scia dei Mastroberardino, dei Capaldo, dei Molettieri e dei Caggiano stanno facendo fortuna con i vini che producono di elevata e si impongono nei mercato stranieri. Purtroppo sono ancora pochi e vengono spesso lasciati soli perché la politica per loro è totalmente assente. Pochi aiuti finanziari elargiti in maniera clientelare che, spesso, vengono utilizzati impropriamente, come per i tanti agriturismo che sono vere e proprie trattorie. Fare impresa in Campania è difficile, farlo in Irpinia quasi impossibile. Eppure la politica dovrebbe semplificare la vita delle aziende, aiutarle a crescere e favorirne la nascita. A queste problematiche dovrebbe essere rivolto un impegno totale favorendo una conoscenza una partecipazione allargata, una consulenza ed un accesso al credito. I dati statistici sull’economia, invece, sono pessimi. Dal 2008 al 2014 il prodotto interno lordo italiano è calato del 9%, quello della Campania del 14%. Siamo al terzultimo posto per ricchezza individuale: 16.335 euro: meno della metà delle regioni del centro Nord. A Napoli, Salerno e Caserta qualcosa comincia a muoversi: giovani innovativi e coraggiosi e isolati; ancora molta poca cosa, ma da noi ancora meno. “Svegliati sud” è un libriccino, curato da Giuseppe Giacovazzo, che raccoglie alcuni discorsi di Sturzo sulla questione meridionale. Ne riportiamo una frase: “La redenzione comincia da noi. La nostra parola è questa: il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno! Così il resto d’Italia riconoscerà che il nostro problema è nazionale e unitario, basato sostanzialmente sulla chiara visione di una politica italiana mediterranea e di una valorizzazione delle nostre forze”. A quasi un secolo di distanza, siamo ancora al nastro di partenza!