“Così Maria di Nazareth rompe ogni stereotipo”, la riflessione di Valerio

Al Circolo della stampa la presentazione del volume della teologa napoletana

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Parlare di Maria di Nazareth, la cui figura ha attraversato ed attraversa la storia, modello con cui confrontarsi, ma modello di donna libera, coraggiosa, forte, che disgrega e scardina tutti gli stereotipi di stampo patriarcale, che l’hanno spesso relegata e ridotta a figura obbediente, sottomessa, passiva. Questo il leit motiv che ha animato la presentazione che si è svolta, nei giorni scorsi, al Circolo della Stampa di Avellino, sull’ultimo testo della teologa Adriana Valerio, edito dal Mulino, dal titolo “Maria di Nazareth”. A confrontarsi sulla figura della madre di Gesù, oltre all’autrice, anche don Tarcisio Gambalonga, direttore del Museo d’Arte Sacra, di Nusco. «Ho sempre evitato di scrivere sulla figura di Maria perché ritenevo che fosse  una vera e propria “bomba atomica”, ma poi ho ceduto alle pressioni della casa editrice, anche perché, la collana che mi era stata proposta, prevedeva un volume snello, agile, non un trattato di mariologia – ha esordito la teologa – è una pubblicazione che non si rivolge agli esperti, ma a chiunque voglia saperne di più su questa affascinante figura. La questione è che di Maria di Nazareth, si sa molto poco. Da un punto di vista storico, abbiamo notizie scarne, anche perché vediamo che nei vangeli, Gesù prende le distanze dalla madre, dalla famiglia, per ribadire che la comunità che si formerà, sarà proprio formata da credenti, da persone non sono legate da vincoli di sangue. Di Maria, ritroviamo maggiori notizie nei Vangeli apocrifi. Il problema è quello di vedere come la sua figura, caratterizzata da elementi così scarni, sia riuscita a suscitare una devozione così traboccante, al punto che, a volte, è stata trattata quasi come una dea.» Una figura, quella di Myriam, che dice il suo sì a Dio autonomamente, non chiedendo il consenso di nessuno, non sottomettendosi ad alcuna gerarchia familiare, patriarcale. Un assenso che, come viene riportato dal  Magnificat, rovescerà i potenti dai troni, ed eleverà gli umili. «Mi piace molto la bibliografia ragionata ed anche gli squarci che ci sono sulla storia, in particolare, mi ha colpito la parte dedicata alla concezione di Maria nel mondo islamico – ha ribadito Gambalonga – Non sapevo che Myriam fosse citata più nel Corano che nei Vangeli. Il suo nome viene citato 33 volte, mentre, nei Vangeli, solo 19 volte. E poi, particolare non irrilevante, Gesù è presentato, nel Corano, come il “Figlio di Maria”, quindi, è lei la protagonista principale. Oggi abbiamo il bisogno di allargare il cuore e la mente a tante altre culture che non sempre conosciamo in maniera profonda, ma con cui interagiamo. Noi preti della generazione post conciliare, non abbiamo quella formazione mariana dei preti delle generazioni precedenti, questo costituisce un vantaggio ed uno svantaggio nello stesso tempo, perché non abbiamo quel profondo legame con il popolo, che avevano loro. Un legame basato proprio sul culto mariano». «Maria è un archetipo, risponde a quel bisogno profondo che l’essere umano avverte dentro di sé, di essere accolto, di qualcuno che accolga le proprie debolezze e le proprie fragilità – ha sottolineato la scrittrice – Montevergine è il luogo di incontro tra i culti mariani ed i culti precedenti. Sul monte Partenio, c’era la devozione ad Iside, la dea nera, e  a Montevergine, si venera proprio la Madonna nera. Assistiamo a quella che si chiama la “transignificazione” di un culto precedente. Interessante notare che, su questa montagna, c’è la tradizione della processione a Maria, compiuta dai cosiddetti “femminielli”, perché la tradizione racconta di una liberazione miracolosa, ad opera della Madonna, di due omosessuali che erano stati condannati a morte. La Madonna nera, dunque, rappresenta proprio quella madre che accoglie e che non giudica, che accoglie tutte le diversità, le marginalità. Maria rappresenta quell’archetipo che la teologia tradizionale non ha saputo colmare. C’era bisogno di un aspetto materno che bilanciasse l’immagine di un Dio giudice implacabile, severo. Guglielmo da Vercelli, oltre a Montevergine, fonda anche il Goleto, che è un monastero a guida femminile, dove troviamo la supremazia delle badesse. Dunque, San Guglielmo propone l’immagine di Maria come guida della Chiesa, guida spirituale, scardinando quegli stereotipi che la presentano come la donna sottomessa, passiva, obbediente. ».«Luca è l’evangelista che parla di più della Madonna – ha sottolineato don Tarcisio – e non è un caso che le monache del Goleto, costruiscano la cappella di san Luca, per accogliere le reliquie dell’evangelista, e che sia la parte più preziosa del monastero. Anche in questo modo, si onorava Maria, dando accoglienza a colui che aveva esaltato la madre di Dio. Cappella che è ricca di elementi simbolici, che non sono stati mai oggetto di una interpretazione scientifica, invece, c’è una lettura teologico- spirituale che andrebbe fatta e che direbbe molto anche di Maria.» (Vera Mocella)