Crisi politica e istituzionale

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La crisi della politica ha raggiunto il picco. I partiti sono al massimo grado di impopolarità da quando hanno abdicato alla loro funzione di fare politica, che – detta nella più elementare locuzione,- è il tentativo di risolvere, al meglio possibile, i problemi della gente.

Oggi si vota per la elezione del Presidente della Repubblica e i partiti sono ancora in alto mare, in attesa di trovare un nome di alto profilo politico e morale che possa rappresentare, con competenza ed onestà, l’unità della Nazione. Il centro desta e, di conseguenza il centro sinistra e l’Italia intera sono stati tenuti in stallo dall’auto candidatura di Berlusconi che, avendo compreso il caos in cui versano i partiti, ha creduto di poter imporre loro persino una candidatura indecente come la sua. Infine ha dovuto gettare la spugna sia per il fallimento dell’operazione scoiattolo (campagna acquisti) ma, anche e soprattutto, dall’aver finalmente capito che una sua eventuale elezione avrebbe scatenato la reazione di metà della popolazione che sarebbe sceso in piazza creando non pochi problemi pe l’odine pubblico e per il futuro democratico del nostro Paese.

La sua uscita di campo ha lasciato a brandelli il cento destra e a pezzi il centro sinistra che non riescono a trovare, per le loro divisioni interne, per i numerosi e diversi interessi delle loro anime, per i veti e i contro veti, un minimo di coesione e di coordinamento tattico e politico.

La cosa non è nuova se si pensa che solo in questa legislatura – per farla beve- si sono avuti tre governi con tre maggioranze diverse e, alla fine, è dovuto intervenire Mattarella a imporre Draghi Presidente per mettere tutti d’accordo non essendo stati in grado di trovare uno straccio di soluzione. Ricominciare a fare politica nella crisi istituzionale che stiamo attraversando è impresa ardua e la difficoltà di eleggere un Presidente della Repubblica si presenta oltremodo difficile. In più, a complicare le cose, c’è la “sistemazione” di Draghi, che è una risorsa per il Paese, e la volontà – ripetutamente espressa da Mattarella – di non accettare un secondo mandato neanche a tempo. Perciò c’è ancora chi pensa di lasciare ancora Mattarella al Quirinale e Draghi a palazzo Chigi nella speranza che i partiti possano ritrovare il senso della politica anche grazie ad una nuova legge elettorale, ad alcune riforme e ai finanziamenti europei con l’attuazione del PNRR.

La cosa non è facile perché ogni partito ha i suoi problemi ad eccezione di quelli che praticano il populismo più becero salvo ad accorgersene poi, quando si accingono a governare perché con il populismo si conquistano voti ma non si governa. Quanto è accaduto al M5S è sotto gli occhi di tutti. La sua implosione era inevitabile ed ora che si sta “normalizzando” come partito accusa tutte le storture dei partiti compresi i guai giudiziari che hanno colpito il suo fondatore Grillo e quelli “politici” di Fraccaro, accusato di collusione con il nemico (Lega). Il buon Conte non riesce a cavare un ragno dal buco tra Grillo, Di Maio, Battista e i vari peones. E questo si ripercuote sulla scelta per l’elezione del Presidente. Analoghi sono i problemi nel PD tra i molti renziani che ancora vi militano e il “doroteismo” di molti dei suoi componenti.

Eppure la soluzione è a portata di mano: Draghi al Quirinale e un Presidente del Consiglio politico a palazzo Chigi con un patto di fine legislatura e un accodo limitato su alcune riforme indifferibili.

Il nodo sarà sciolto nei prossimi giorni sperando che non ne venga fuori il solito pasticcio all’italiana con la elezione al Quirinale di una figura di parte, poco autorevole e competente, rischiando così di perdere anche Draghi a palazzo Chigi.

di Nino Lanzetta