Da Caposele un forte messaggio antiviolenza

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Ecco come si attrezza il territorio

 

Quando Clelia e Luigi cominciano a recitare un monologo sulla violenza familiare, già interpretato in una pièce memorabile da Paola Cortellesi, le emozioni attraversano la sala, dove già un altro monologo aveva sintetizzato la nuda e cruda realtà di una emergenza senza fine, tra violenza e femminicidi. Atti di denuncia, di cronaca di quel che accade nelle famiglie, nella società, attraverso l’arte, le mostre, la ricerca, il dibattito. Due giornate, quelle organizzate dalla Pubblica assistenza di Caposele, con l’obiettivo di andare “Oltre le mura del silenzio”, quel silenzio che per varie ragioni non diventa denuncia, ma che ha bisogno di essere spezzato, con le strutture, con i centri di ascolto e antiviolenza, di accoglienza, con una rete di professionisti sul campo. Ma soprattutto con una colleganza solidale che passi per la scuola, la famiglia, le istituzioni, le strutture sanitarie. E con i fondi, tanti fondi. E’ anche il senso delle parole della presidente della Pubblica assistenza di Caposele, Cesara Maria Alagia, che ha fortemente voluto questo confronto allargato a molte voci. Prevenzione, formazione, attenzione e discussione sull’argomento, sensibilizzazione, sono gli elementi introdotti nei primi interventi, quelli del vicesindaco di Caposele Donato Cifrodelli, del presidente del Consorzio Servizi sociali Stefano Farina, e dal direttore dello stesso Consorzio, Generoso Trombetta, del sindaco di Calabritto, Gelsomino Centanni. La scuola, allora: tanti i ragazzi in sala, che hanno seguito con interesse la discussione, mentre il dirigente scolastico dell’istituto “F.De Sanctis” di Caposele, Gerardo Vespucci mette al centro dell’attenzione la vita, quella che si nega doppiamente, quando si uccide una donna, compagna e madre. La società è a un bivio, ha avvertito il dirigente, e la crisi morale che sta permeando la società afflitta dalla crisi economica va aiutata a non sbagliare. Ecco che la scuola può mettere al centro questo programma, creando una società solidale e umana.
“Chi fermerà queste croci” è la domanda che pongono le ragazze, Mara e Rosamaria, impegnate in uno dei monologhi, mentre scorrono le immagini di donne offese, rapite nell’intimo, violate, bruciate, ferite a morte. Donne vituperate dalla storia, mentre le scarpe rosse sulla grande scrivania del centro polifunzionale raccontano ognuna una storia di donna, ragazza, o bambina, tutte torturate da qualche compagno, familiare, congiunto. La storia, la letteratura. Secoli di stratificazioni, sedimentazioni rozze e incolte, snocciolate nella ricostruzione della sociologa dell’università della Calabria, Giovanna Vingelli. Aristotele, Rousseau, Hegel, Kant: nelle loro elaborazioni questi giganti riducono la donna a “sottoprodotto” della società. La docente ha ricordato che il deputato di fine ottocento Giovanni Bovio introdurrà il concetto di donna “extrastorica”, a fronte della condizione a suo dire “preistorica” dei cinesi. Possiamo andare avanti di questo passo, con Gioberti, o il contemporaneo Oddifreddi. Un fardello millenario. Con un po’ di conti da fare: il silenzio, la non denuncia, la violenza, la persecuzione costano. Costano fino a 17 miliardi all’anno allo stato italiano. Una sofferenza individuale e collettiva a fronte di un investimento di oltre sei milioni. Numeri che devono crescere, nella controproposta, altrimenti la battaglia sarà difficile sostenerla. Ci sono i professionisti sul campo. Torniamo al Consorzio dei servizi sociali in Alta Irpinia, 25 comuni, un ambito molto vasto. Parlano professioniste come Michelina Iuliano e Patrizia Delli Gatti, referenti di “Accoglienza & Cultura Innovativa” che lavorano alla formazione attraverso svariate iniziative e che costruiscono giorno per giorno la rete inclusiva accanto ad una politica socio-sanitaria che resta al centro di tutta la loro impostazione di lavoro. Quella che poi porta dritto all’ospedale “Criscuoli” di Sant’Angelo dei Lombardi, dove è nato il centro antiviolenza “DiDonna”. Il direttore sanitario Angelo Frieri dà subito il senso delle cose: “abbattere” le mura dell’ospedale, e aiutare, costruendo un progetto di accoglienza che entri nei meandri del sommerso e sia punto di riferimento fermo e sicuro. Il suo è un messaggio di fiducia e di speranza, come quello che lancia l’avvocato Concetta Gentili della cooperativa Eva, casa di accoglienza donne maltrattate. La professionista spinge per una cultura sistemica, che costruisca una rete solidale per la libertà di autodeterminazione della donna, ma in un contesto dove ognuno sia collegato all’altro: nessuno si salva da solo. Le storie, una, decine, centinaia: le ha raccontate Riccardo Iacona a “Presa diretta”, storie che ha raccolto in un libro frutto di un reportage, su e giù per l’Italia, con l’inviata Sabrina Carreras. “Se questi sono gli uomini” il titolo del libro: le violenze subite da Stefania, Rosetta, e tante altre ancora, raccontano della grande tragedia che insanguina il territorio nazionale. Sabrina parla da cronista che sul campo ha parlato con le sopravvissute della mattanza o con i loro familiari. Sa che è necessario realizzare strutture, aiutare le donne che denunciano, accompagnandole in quelle difficilissime fasi di ritorno alla vita, le stesse che vivono in contesti che sanno ma che fanno finta di non sapere. Con un inciso non di poco conto: servono strutture, servono soldi, serve investire.
Investire sui fondi, investire sulle norme. Ne è convinta la presidente del Consiglio regionale, Rosetta D’Amelio: «Se una società ha bisogno di leggi significa che la parità non è un dato ancora acquisito. Intanto, nell’immediato, sarà insediata una commissione che dovrà lavorare sul censimento di quanto accade in regione. Quanto ai centri antiviolenza, D’Amelio rivendica la primogenitura del bando da assessore, e che ha chiesto di riattivare. Con l’ulteriore impegno ad appostare più risorse. Parla da una terra in cui la donna è vittima ma anche protagonista di forti battaglie, in una terra di terremoti, emigrazione, di battaglie per la riforma agraria. Il messaggio su tutti deve arrivare alle giovani e giovanissime generazioni: trasmettere il significato vero di società paritaria, perché c’è ancora da fare sulla rappresentanza di genere, in politica, nelle istituzioni, e nei posti chiave. La battaglia continua.