Dare respiro lungo alla coalizione

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La vera sfida di questa inedita maggioranza di governo è quella di dare un respiro più lungo ad una coalizione nata principalmente per evitare il voto anticipato. I tre soggetti in campo hanno però al momento progetti diversi. I Cinque Stelle dopo la netta sconfitta subita alle europee, dove hanno pagato la poca esperienza di governo e l’essersi appiattiti sulle posizioni della Lega, devono adesso immaginare una nuova ripartenza. Di Maio non è più un leader indiscusso ma anzi i malumori crescono e l’esperienza al ministero degli Esteri è tutta da scrivere. Il Movimento ha compiuto da poco dieci anni. Nell’ottobre del 2009 c’è l’annuncio di Grillo e Casaleggio della nascita del movimento politico che due anni prima si era affacciato nella vita del paese con le piazze del V-Day. In pochissimo tempo si è passati dall’uno vale uno delle origini ai leader del Movimento come in tutti gli altri partiti. Il successo è stato però velocissimo. In poco tempo la conquista di grandi città come Roma e Torino e il boom di consensi in tante regioni e sul piano nazionale la tappa più importante è senza dubbio lo sbarco in Parlamento nel 2013 con il 25,5 per cento dei voti. Ben 163 tra deputati e senatori, visti e definiti come “marziani”, prendono posto nei loro seggi di Montecitorio e Palazzo Madama. Il resto è storia recente. I Cinque Stelle sono il primo partito alle elezioni del marzo 2018 con il 32 per cento dei consensi e sono determinanti nella maggioranza di due governi con alleati opposti – prima la Lega poi il Pd – nel giro di appena 14 mesi. Mutazioni impensabili, apertura ad alleanze inimmaginabili, che oggi vengono giustificate anche da Beppe Grillo “Se siamo riusciti ad allearci con il Pd (e loro con noi) possiamo vederla in due modi: necessità di poltrone oppure uno step evolutivo della politica”. Lo step di cui parla Grillo è oggi il vero cambio di passo di un movimento che rapidamente è passato dalla protesta alla proposta di governo. Guidare un paese, stringere alleanze anche con chi hai avversato non è semplice. Questo esecutivo nasce anche e soprattutto grazie alla capacità tattica di Renzi che resta il leader meno empatico sia per i Cinque Stelle che per il PD. L’ex premier gioca una sua partita personale. Più che alla ricerca di un fantomatico centro e alla ricerca di una sua personale visibilità. Le dichiarazioni di questi giorni ne sono la testimonianza. E’ indispensabile per il futuro cammino della legislatura e vuole farlo pesare. Il suo obiettivo con numeri ovviamente diversi è avere lo spazio mediatico e di manovra che Salvini ha avuto nel precedente esecutivo. Minare ove è possibile gli equilibri di una maggioranza che per sua natura è ancora fragile. Renzi è però un politico abile e mostra il suo essere diverso da Salvini quando dice che lui non parla di mojito e cubiste, ma di tasse, asili nido, lavoro. Discutere di questo non è litigare, è fare politica. E poi c’è il PD. Da un lato preoccupato dall’attivismo renziano e dall’altro impegnato ad accompagnare la crescita di questa maggioranza.
Sembra di essere tornati al governo Monti quando toccò anche allora ai democratici la parte dell’alleato responsabile e credibile a livello europeo. Essere apprezzati dall’establishment è però cosa diverso dal catturare consensi dell’opinione pubblica. Ai tempi di Monti nelle urne ci rimise Bersani adesso Zingaretti deve stare attento e dimostrare che il PD non può essere solo un partito di cerniera tra le diverse anime della coalizione ma anche un partito che con le sue idee programmatiche impone la propria agenda.

di Andrea Covotta