Decreto dignità, più diritti e lavoro?

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Il decreto Dignità, che approderà in Aula la prossima settimana, sta suscitando un mare di proteste. A Salvini e Di Maio stanno saltando i nervi, dimenticando che hanno esercitato fino a ieri un’opposizione radicale, continuata, accesa e spesso con toni plateali. Ora che stanno al governo non accettano le critiche con il dovuto aplomb istituzionale e contrattaccano con ira. Al presidente di Confindustria, Boccia, dicono che fa terrorismo psicologico, a Boeri, presidente dell’Inps, che fa politica e dovrebbe dimettersi, sol perché hanno stimato che la nuova normativa sul lavoro fa perdere all’incirca 8.000 posti di lavoro all’anno e il reinserimento della causale causerebbe, oltre a perdita di posti di lavoro, anche un incremento del contenzioso.

Cosa prevede il Decreto? Innanzitutto una stretta sui contratti a termine (rinnovabili solo per 24 mesi e non più per 36 e con un aggravio dello 0,5% e con l’inserimento della causale); restituzione, con interessi, degli aiuti dello Stato per le aziende che delocalizzano; divieto di pubblicità, per giochi e scommesse; ridimensionamento del redditometro e dello spesometro; esclusione dallo split payment (trattenimento dell’IVA nei pagamenti delle Amministrazioni pubbliche) per i professionisti che forniscono loro servizi. La pietra dello scandalo è la relazione tecnica, che accompagna il decreto, con la previsione della perdita degli 8.000 posti di lavoro all’anno per 10 anni.

Di Maio sostiene che il Decreto non mira a creare più lavoro ma più diritti: I critici ribattono che le misure previste vanno in direzione di ostacolare il lavoro e non favoriscono l’occupazione allontanandoci dalle norme comuni ai Paesi concorrenti. In verità, i diritti dei lavoratori sono stati sviliti e annullati intaccando fortemente la loro dignità come persone. Per Rodotà (La Scuola di Pitagora- 2013-) la dignità, unione di libertà e uguaglianza, è ostacolata “da una logica di mercato che, in nome della produttività e degli imperativi della globalizzazione, prosciuga i diritti”. Lo Stato non può tacere: deve rimuovere le cause che offendono la “dignità” dei lavoratori. Lo scopo dei 5Stelle è, pertanto, nobile e da condividere. Si tratta di vedere se la strada che stanno percorrendo va nelle direzione giusta ed è conciliabile con le altre misure previste dal contratto di governo e se queste vanno in una direzione univoca e la cosa che appare abbastanza improbabile.

Due riflessioni. La prima: nella maggioranza che sostiene l’attuale Governo (con l’aggravante di un Premier che conta come il due di picche) convivono (fino a quando?) due strategie diverse che, di volta in volta si scambiano il ruolo di maggioranza e opposizione. Al decreto Dignità la Lega, che rappresenta le piccole e medie imprese del Centro Nord, non vanno bene le norme restrittive sul lavoro e si accinge a proporre o a favorire emendamenti, a cominciare dalla reintroduzione dei Vaucher. Alle norme amplificatrici della legittima difesa, che tendono a togliere il concetto di proporzionalità tra offesa e difesa (introdotto dal Ministra Rocco nel regime fascista – non certo un comunista), si oppongono i cinque stellati e nella stessa problematica sull’emigrazione – con l’aumento dei morti in mare- cominciano a farsi sentire i mal di pancia di molti esponenti politici, a cominciare da Fico, Presidente della Camera. Il Presidente Conte non riesce ad equilibrare proposte che – nei fatti – vanno in direzioni opposte

La seconda riflessione è che le nuove norme sul lavoro, come quelle su altri settori che si accingono a varare, non vanno in favore del lavoro e dei lavoratori facendo aumentare la precarietà, diminuire i salari e annullare quel poco stato sociale che è rimasto. Ad esempio la Flat tax è accettabile dal M5S nei termini nei quali è stata prevista, con il favorire sfacciatamente e impudentemente i ricchi, con la risibile giustificazione, che farebbe diminuire l’evasione fiscale e aumentare i consumi (di barche, Rolex, alberghi di Cortina o Forte dei Marmi)? Con l’aggravante del sicuro minore gettito e senza averne le risorse e con l’ennesimo condono (pace fiscale!) che si riverserebbe sul progressivo indebolimento del Welfare? Non sono, la precarietà. i bassi salari e la perdita del Welfare (previdenza, sanità, scuola) le cause dell’aumento dei poveri in Italia?

di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud