Dieci anni dopo quel “Vaffa…” 

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Il Movimento Cinque Stelle esordì sulla scena politica e mediatica italiana esattamente dieci anni fa, l’8 settembre 2007, e fu uno shock non da tutti avvertito nelle sue potenzialità forse innovative, certamente dissacratorie. Lo slogan che Beppe Grillo lanciò dalla tribuna di piazza Maggiore a Bologna, cuore rosso dell’Emilia rossa, era destinato ad alimentare i primi anni di vita di un movimento che partiva col vento in poppa: centomila persone sotto il palco, dieci volte tante collegate da altre città d’Italia; un nemico indicato già dalla principale location: il partito allora egemone della sinistra italiana, che ancora per pochi giorni si sarebbe chiamato Democratici di sinistra, apprestandosi a confluire con la Margherita nel Partito Democratico.

Quell’insulto, quel “Vaffa…” (inutile completare l’ingiuria) che Grillo lanciava dal microfono e che la piazza scandiva, era dedicato proprio a loro, agli eredi delle due principali tradizioni politico- culturali del dopoguerra, che si stavano per fondere insieme per dar vita ad un progetto di riformismo moderno, europeo, non ideologico, adeguato ai tempi. Ora, a dieci anni dall’evento fondativo, è lecito domandarsi che cosa resti di quella memorabile giornata e che cosa ci dicano oggi Grillo e suoi seguaci, forse più numerosi di allora, certamente meno scomposti e maleducati almeno ai vertici, per usare un termine minimalista.

Non certamente con l’ambizione di fare un bilancio del decennio grillino, perché quello lo trarranno gli elettori fra pochi mesi, ma almeno una riflessione sul passato e qualche ipotesi, speriamo non azzardata, sul futuro. Intanto va detto che la presenza dei grillini nelle istituzioni – parlamento, regioni, enti locali – sempre più folta a partire dal 2013 (ultime elezioni politiche), non ha avuto quell’effetto catartico che loro per primi si aspettavano e che il loro fondatore aveva promesso. Anzi, la lotta alla “casta” si è risolta nella creazione di un’altra “casta” che ha affiancato le precedenti e in qualche caso le ha sostituite, come denunciano per primi i numerosi parlamentari prima eletti e poi scartati perché non rivelatisi all’altezza delle aspettative o semplicemente perché troppo autonomi.

Lo stessi dicasi per l’altra bandiera agitata dai Cinque Stelle: la democrazia diretta, ammainata nella selezione pilotata delle candidature, con episodi penosi da Genova a Palermo, nei referendum burla per l’elaborazione del programma, fino al flop clamoroso della piattaforma informatica che dovrebbe garantire terzietà e trasparenza nel rapporto fra vertice e base del movimento, e che si è subito dimostrata vulnerabile: problema già risolto secondo l’erede di Gianroberto Casaleggio, che in proposito ha ostentato una certezza che potrebbe presto rivelarsi un altro boomerang. Sintetizzando a suo modo questi dieci anni, un giornale certamente non ostile ai Cinque Stelle come “il Fatto”, ha titolato: “Il vaffa non funziona più”. E qui ci potremmo anche fermare; ma se lo facessimo resteremmo a mezza strada, perché se è vero che lo slogan cui si deve il successo del lancio iniziale del nuovo brand politico non sembra più capace, da solo, di garantire la fidelizzazione dei consumatori, è altrettanto vero che il mercato resta insoddisfatto anche della concorrenza, e come incerto davanti al catalogo dei prodotti in offerta. Per uscire dalla metafora, molti sondaggi e molte analisi politologiche indicano che gli elettori italiani sono ancora indecisi se cedere alla rabbia (che è alla base del successo ottenuto dai grillini) o puntare sul bene-rifugio della stabilità (come quella proposta, per esempio, dal governo Gentiloni).

L’evoluzione del Movimento Cinque Stelle, accentuatasi man mano che si avvicina l’appuntamento elettorale, sembra trasferire il proprio baricentro verso questo secondo polo, come dimostra l’intervento, studiatamente rassicurante, di Luigi Di Maio a Cernobbio, ma non solo. Per alcuni, non necessariamente ostili al movimento, ciò significa semplicemente aver tradito le promesse fatte ed essersi rassegnati all’omologazione; il che, sommato al palese fallimento delle prove di governo fin qui offerte (a Roma soprattutto) segnerebbe l’inizio del declino. Ma su questo saranno presto gli elettori a decidere.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud