Scrivo con la penna nel cuore. Il simbolo della città, la Dogana, sta urlando nelle sue macerie. Di ciò siamo tutti responsabili. Coloro che c’erano prima, chi è venuto dopo e chi oggi amministra la città. Ma soprattutto la società civile di Avellino che ha perduto l’orgoglio dell’appartenenza, incapace di reagire ad ogni tipo di affronto. Il numero che leggete in questa pagina corrisponde ai giorni trascorsi da quando fu preso solenne impegno di restituire lo storico monumento alla città dopo anni di abbandono. Era sindaco la buonanima di Di Nunno che avviò, tra non poche difficoltà, un progetto di ristrutturazione. Quando Giuseppe Galasso lasciò piazza del Popolo, nelle casse comunali c’erano oltre quattrocentomila euro per i lavori necessari. Dove sono finiti? Inutile ricordare le bugie dei presidenti della Regione, Caldoro e De Luca. Quella della ex Dogana è una vicenda amara, una storia triste. Soprattutto di parole e promesse. Di una insopportabile beffa per quanti amano ancora la città e che si battono per farla svegliare dal letargo in cui è caduta ed è costretta a vivere. Ora basta.
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