Draghi e lo Statuto dell’opposizione

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“Spero si trasformi in una consuetudine”: il commento di Giorgia Meloni dopo l’incontro di giovedì (oltre un’ora) con Mario Draghi a palazzo Chigi svela l’obiettivo che la leader di Fratelli d’Italia si proponeva di raggiungere, e che forse ha ottenuto. Al di là del merito degli argomenti trattati, sui quali il presidente del Consiglio si riserva di decidere in piena autonomia, a Meloni interessava ottenere dal capo dell’esecutivo il riconoscimento di un ruolo specifico per la controparte parlamentare cui, oltre la consistenza numerica, si concede ora una legittima aspirazione alla successione nella logica dell’alternanza. Una sorta di “statuto dell’opposizione”, non formalmente previsto nel nostro ordinamento ma in qualche modo obbligato dai fatti, primo dei quali la formazione di una maggioranza praticamente senza confini, visto che ormai l’unica minoranza ha rinunciato alla spallata, rinviando la resa dei conti alla fine della legislatura cioè, in assenza di fatti nuovi, fra due anni.

Per ottenere questo riconoscimento, Giorgia Meloni ha rinunciato a chiedere le elezioni anticipate e ha moderato le sue pretese su programmi di lotta alla pandemia, ripresa economica, difesa dei lavoratori e delle imprese. In sostanza ha ammesso che a Draghi spetta governare e a FdI controllare l’operato dell’esecutivo in attesa del giudizio degli elettori. Non è poco, se si guarda alla tradizione italiana che ha sempre visto il rapporto maggioranza/opposizione come una sorta di giudizio di Dio, una lotta all’ultimo sangue. Come conseguenza, la leader della destra può rivendicare anche per il futuro la guida dello schieramento parlamentare che i sondaggi danno per vincente alle prossime politiche. La differenza con l’ultimo governo Conte è evidente: quello si guardava bene dal coinvolgere l’opposizione, anche se a volte – dice lei – ne copiava le proposte; questo sta ad ascoltare e prende nota dei suggerimenti. E così, nel lungo colloquio a palazzo Chigi Giorgia Meloni non si è limitata a prendere le misure dello studio presidenziale, ma ha raccolto punti preziosi nella partita in corso con Berlusconi e soprattutto con Salvini, in vista dell’imminente appuntamento alle amministrative di autunno. Che abbia bisogno di tempo per consolidare le sue posizioni e assistere al progressivo logoramento del capo leghista, pare evidente.

Un successo per lei, dunque, ma anche per Mario Draghi, che ha in qualche modo sterilizzato un’opposizione parlamentare finora molto combattiva e fastidiosa. Una settimana fa, ricevendo il segretario del Pd Enrico Letta, il capo del governo aveva dato un’altra prova delle sue capacità di mediazione e di guida, spiegando al suo interlocutore che non sarebbe stato utile per nessuno portare avanti una polemica con Salvini priva di sbocco. Da allora, infatti, è stato un fiorire di reciproche attestazioni di stima fra i due segretari che, nella evidente crisi dei Cinque Stelle, sono ormai le colonne portanti del governo. Se insomma, Giorgia Meloni ha portato a casa un risultato politicamente rilevante per la sua parte politica, il presidente del Consiglio ha sminato il terreno da possibili intralci sul cammino delle riforme necessarie per ottenere i sospirati fondi europei.

di Guido Bossa