Due buone notizie e una polemica 

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Due buone notizie per il governo Gentiloni migliorano le prospettive della ripresa politica ormai imminente; ma subito anche su di esse s’innesca una velenosa polemica che sa molto di campagna elettorale. Le novità favorevoli, e in parte inattese, vengono dall’economia e dall’Europa: i dati certificati dall’Istat dicono che per la prima volta dal 2008 (inizio della crisi) nel luglio di quest’anno è stata superata la soglia di 23 milioni di occupati, con una crescita di quasi 300 mila unità negli ultimi dodici mesi; sul fronte europeo, il vertice di Parigi ha convalidato la strategia italiana sulla politica migratoria e ha posto le basi per una sorta di direttorio a quattro (Germania, Francia, Italia, Spagna), nucleo di testa di quell’Europa a due velocità di cui tanto si è finora parlato invano, e che potrebbe finalmente nascere dopo che le imminenti elezioni tedesche e quelle italiane avranno (si spera) stabilizzato il quadro politico nei principali Paesi dell’Euro dopo l’uscita della Gran Bretagna.

I dati relativi all’occupazione sono consolidati e, si può dire, corroborati dalle previsioni sulla crescita complessiva dell’economia. Anche Moody’s, l’agenzia di rating americana mai tenera con l’Italia, ha rivisto in crescita, dallo 0,8 all’1,3% il nostro Pil, il che consentirà al governo di affrontare con maggiore disponibilità gli appuntamenti finanziari di fine anno (la sessione di bilancio è alle porte). Quanto all’occupazione, recentemente è stato Romano Prodi a rilevare che le nostre regole del mercato del lavoro, compresi i relativi costi, sono oggi competitive con quelle tedesche e migliori di quelle francesi. Proprio in questi giorni Macron si appresta ad un duro confronto con i sindacati su licenziamenti, indennizzi, contratti, flessibilità: insomma quello che è stato definito il jobs act alla francese: è innegabile che l’Italia si trovi, da questo punto di vista, un passo avanti rispetto al governo di Parigi.

Sulla questione delle migrazioni, destinata a impegnare le diplomazie europee per i prossimi anni, l’Italia è riuscita a far passare il principio che non si tratta di un problema dei soli Paesi mediterranei, ma di tutta l’Unione; e che va affrontato in primo luogo nelle regioni di partenza dei flussi. L’obiettivo, finalmente condiviso dalla cancelliera Merkel, è la revisione della convenzione di Dublino sui richiedenti asilo; ma nella prospettiva di una maggiore condivisione di oneri e responsabilità, anche lo slogan “aiutiamoli a casa loro” assume maggiore concretezza. Resta aperto il problema dell’integrazione, che assume anche aspetti patologici come dimostrano i recenti fatti di Roma, che peraltro chiamano in causa, pesantemente, anche le responsabilità degli enti locali, particolarmente evidenti nella Capitale.

E veniamo alle polemiche, che naturalmente non potevano mancare. Si riassumono in un presunto contrasto fra Paolo Gentiloni e Matteo Renzi circa la rivendicazione del merito dei successi ottenuti dal governo, che difficilmente possono essere negati. Ora, che ci siano differenze e non da poco nello stile politico dei due leader appare evidente, ma evidente è anche la continuità fra i due esecutivi sia dal punto di vista programmatico che, in buona parte, per quanto riguarda le competenze affidate ai ministri. Qui risalta semmai il cambio di passo impresso da Minniti al Viminale, ma il paragone va fatto con Alfano, non con altri. Per il resto, si può solo rilevare che Gentiloni sta raccogliendo parte dei frutti seminati da Renzi, in ciò certamente favorito da una positiva congiuntura internazionale ma anche dal suo carattere e dal suo modo felpato e misurato di governare. Ma da ciò ad immaginare una competizione o addirittura un duello già in atto fra i due per la guida del primo governo della prossima legislatura, ce ne corre. Anche perché di mezzo ci sono le elezioni, e per vincerle (impresa tutt’altro che facile), una strategia basata sulla combinazione fra il movimentismo leaderistico di Renzi e la rassicurante stabilità di Gentiloni potrebbe risultare vincente. Poi, l’incarico di governo sarà tutta un’altra partita.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud