E’ in gioco il futuro dell’Europa

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Due referendum, due paesi, due governi che si giocano il futuro. Oggi la Gran Bretagna vota il sì o il no alla sua permanenza nell’Unione Europea mentre da noi dopo il voto dei ballottaggi è soprattutto il referendum di ottobre sulle riforme costituzionali la prova più impegnativa per Matteo Renzi. La scia delle elezioni comunali vede il PD e l’esecutivo più deboli ma senza rischi di cadere. Al secondo turno molti elettori votano a “dispetto” cioè contro il candidato più lontano dalle proprie idee. Il referendum britannico segue una dinamica simile. C’è chi voterà per rimanere o no in Europa ma anche per dare un segnale al governo o ai vari leader che si giocano il loro futuro politico. Mario Monti, per esempio, sostiene che Cameron non ha deciso di indire il referendum per il bene dell’Unione o della Gran Bretagna ma lo ha fatto solo a fini interni per levarsi d’impaccio il blocco euroscettico del suo partito e per rafforzare la sua leadership. E per questo Monti arriva a dire che Cameron ha fatto un abuso di democrazia. Insomma il premier britannico come Renzi deve salvaguardare il suo governo mentre dall’opposizione Nigel Farage come Grillo imposta la battaglia anti Europa come la prima partita di un profondo cambiamento dell’intero sistema comunitario. I cinque stelle che hanno appena vinto a Roma e a sorpresa anche a Torino possono adesso concentrarsi sul governo delle città ma in prospettiva impostare un percorso per una diversa idea di Europa. Un cambiamento necessario dal momento che anche i filo europei sostengono che i partiti populisti hanno successo proprio perché l’Unione così non funziona. Bruxelles si occupa molto di finanza e banche e poco di lavoratori e disoccupati. Accorciare dunque le distanze con questa Europa e renderla meno burocratica è una delle sfide che deve affrontare nelle prossime settimane Matteo Renzi insieme a quella di rimettere in piedi un partito uscito malconcio dalle amministrative. Un voto non solo locale ma destinato a lasciare il segno perché quando votano le prime quattro città italiane: Roma, Milano, Napoli e Torino è evidente che si tratta anche di un test nazionale. Il principale sconfitto è Renzi e la sua idea di partito personale modellato sul carisma del leader. Questo insuccesso potrebbe però rendere diverso il cammino politico del premier “costretto” a riallacciare i rapporti con la sua base sociale e con gli elettori del PD. Un clima meno da resa dei conti e più costruttivo con una visione più equilibrata e meno propagandistica dell’Italia di oggi e del suo disagio. Il bagno di realismo di Renzi dovrebbe andare di pari passo con un diverso modo di condurre queste campagne elettorali. Il veleno sta diventando eccessivo. In Gran Bretagna l’omicidio della parlamentare laburista Cox, in Italia, per fortuna, lo scontro è solo verbale. Eppure le immagini del presidente del PD Orfini insultato e sbeffeggiato in un mercato della Capitale dovrebbero far riflettere. Come ha scritto Massimo Gramellini “oggi nemmeno Berlinguer riuscirebbe a placare questo popolo offeso e inferocito che va alla ricerca di capri espiatori e accusa i politici di prendere i voti della gente comune per metterli al servizio dei grandi interessi finanziari. In altri tempi avrei sorriso della figuraccia rimediata da Orfini. Adesso la sua gogna fa quasi paura”. Regolare le lancette dell’orologio sull’ora della normalità dovrebbe essere compito sia della politica che di questa società insoddisfatta e malata. L’astensionismo record è figlio di questa disaffezione e di questo rifiuto. Recuperare le ragioni della politica e tradurle in proposte e progetti è il compito sia di chi oggi sorride per aver vinto che di chi ha perso le elezioni.
edito dal Quotidiano del Sud