E’ sempre più emergenza carcere

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La stampa provinciale dello scorso fine settimana ha riportato l’ennesimo clamoroso atto di protesta di un detenuto all’interno del carcere di Bellizzi Irpino. Si è trattato di un preciso, atto incendiario, utilizzando lenzuola e coperte con l’ausilio di bombolette di gas. Il tempestivo intervento degli agenti di Polizia Penitenziaria ha evitato l’esplosione e gravissimi danni e pericolo di morte per un altro detenuto ospite nella stessa cella. I ricorrenti episodi di protesta in tutte le carceri italiane non possono rimanere all’oscuro, soprattutto per la ulteriore drammaticità della situazione carceraria collegata alla pandemia e alla vastissima eco che ne hanno dato i canali della comunicazione. La ministra Cartabia ha recentemente sostenuto che nel nostro sistema penitenziario ci sia troppo carcere e poche misure alternative. Per chi, come me, ha operato per lungo tempo nelle carceri con interventi speciali di rieducazione e formazione professionale, non può non dire che la ministra ha ragione. Ha ragione anche perché il nostro Paese, unitamente alla Turchia, ha il più alto tasso si sovraffollamento del continente con una serie di pesanti conseguenze, a tutti note, che non fanno certamente onore alla nostra comunità nazionale, con consolidati valori democratici e significativi principi ordinamentali che tutelano – o dovrebbero tutelare il valore persona del detenuto. Intanto venerdì scorso, al Circolo della Stampa di Avellino, è stata inaugurata la mostra di manufatti realizzata da detenuti e detenute del Carcere di Bellizzi Irpino e di Sant’Angelo dei Lombardi. L’evento costituisce il tentativo di costruire ponti tra carceri e società esterna, nel quadro del progetto di reinserimento sociale previsto dagli ordinamenti penitenziari vigenti. Il rapporto Antigone 2021, con grande lucidità descrive non solo quale sia lo stato di salute della popolazione carceraria, ma fornisce dettagliatamente le frustrazioni diffuse e le disilluse aspettative in ordine ad un possibile e previsto reinserimento sociale dell’ex detenuto. La lettura complessiva delle risultanze del rapporto conduce, in maniera univoca ed inevitabile, alla conclusione che chi entra nel circuito penitenziario è condannato a non uscirne più, seppure con carichi di pena non gravissimi. Tuttavia mi sento di poter auspicare – anzi di poter sostenere – che la profonda revisione dell’ordinamento penale e un oculato ricorso ai cospicui fondi del Pnrr, possano determinare una radicale inversione di tendenza. A sostenere questo nuovo percorso progettuale occorrono almeno tre linee di azione: 1) più risorse per le misure alternative e la giustizia del territorio; 2) investimenti mirati al miglioramento delle strutture carcerarie; 3) investimenti mirati alla qualificazione del capitale umano (operatori penitenziari, operatori sociali e della formazione professionale). La prospettiva progettuale appena descritta interpella decisamente l’imprenditoria sociale quale soggetto privilegiato a divenire anello di congiunzione tra il carcere e il mondo esterno. Le misure alternative hanno bisogno del sostegno di progetti di housing sociale, strutture di accoglienza abitativa, attivazione di progetti rieducative capaci di ridurre i rischi di devianza, trattamenti socio-terapeutici relativi alle dipendenze. Va subito sottolineato, frattanto, che ognuno di questi interventi coinvolge operatori fortemente motivati, con una vocazione sociale, professionale e spirituale non comune. La capacità di una chiara visione antropologica e dottrinale, insieme ad una sensibilità umana significativa mostrata recentemente dalla ministra Cartabia possano costituire un autorevole alleato per le auspicate innovazioni. La luce del Natale illumini anche le celle oscure dei carcerati.

di Gerardo Salvatore