Ed ora un bagno di realismo

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In tempi dove il vento dell’anti politica spira fortissimo tocca ai partiti tradizionali e in particolare al PD recuperare elettori delusi e riavvicinarli alla politica. Dopo la sconfitta referendaria il partito democratico ha sempre più la necessità di una rifondazione che dovrebbe innanzitutto passare da un rapporto diverso tra Renzi e la minoranza. Non una trattativa al ribasso anche se il segretario dovrà aspettarsi qualche altro atto poco amichevole da parte di quel segmento del partito che è stato trattato malamente negli ultimi anni. Ma la ripartenza del PD presuppone un orizzonte più ampio che deve essere riempito non più da slogan propagandistici ma da temi, prospettive, ricerca di un nuovo rapporto con la base sociale e gli elettori e buttandosi finalmente alle spalle le eterne divisioni e lotte intestine da chi vive da separato in casa ma non ha un’altra casa. Un nuovo inizio che deve essere l’opposto quindi della resa dei conti con gli avversari interni. C’è bisogno di un cambio di passo, di un più equilibrato assetto interno. Una visione diversa dell’Italia di oggi dipinta da Renzi con troppo ottimismo mentre invece permane ed è ancora molto forte il disagio economico sullo sfondo di una ripresa troppo fragile e di ingiustizie percepite come non più tollerabili. Serve insomma un salutare bagno di realismo che parta dal presupposto di una indispensabile dose di umiltà. Renzi proprio ieri ha iniziato una sua personale ripartenza e lo ha fatto attraverso il blog non pensato – ha scritto – per i reduci ma per camminare verso il futuro. Il leader del pd annuncia poi una nuova segreteria e promette un lavoro per la riorganizzazione del partito. Nessuna autocritica e allora come ha scritto un attento analista come Paolo Franchi “nel PD non si è nemmeno impostato dopo la sconfitta al referendum costituzionale una serie analisi del voto che si praticava spesso con discreto profitto dal gruppo dirigente all’ultima sezione. Può darsi che tutto ciò derivi dal semplice fatto che il PD non è più, sempre che lo sia mai stato davvero, un partito tradizionale o di tipo nuovo poco importa, e cioè una comunità politica fondata su valori e regole condivise, ma piuttosto un cangiante aggregato politico – elettorale di personalità, gruppi, cordate e interessi tenuto insieme da un capo indiscusso e indiscutibile, almeno fin quando vince”. Ed è proprio in quest’ultima affermazione di Franchi la svolta da dove dovrebbe ripartire un nuovo PD. Renzi lo ha scalato e conquistato portando una ventata di freschezza e aria nuova in un soggetto dominato da troppi anni dalle stesse personalità. Si è insomma imposto facendo leva sulla sua persona immettendo contemporaneamente idee nuove per la sinistra italiana a partire, ad esempio, da quelle sul lavoro. Renzi ha lasciato Palazzo Chigi ma non la guida del PD. L’obiettivo è quello di una rivincita. Andare al voto per riconquistare il governo. Ambizione legittima ma velleitaria se Renzi non stringe un vero patto con gli altri leader del PD e soprattutto se non convince gli elettori che bisogna fidarsi di chi ha governato in questa legislatura. Normalmente in tutti questi anni è accaduto il contrario. Dopo il tempo del governo c’è stato quello dell’opposizione e stavolta a raccogliere il testimone potrebbero essere i Cinque Stelle. Il successo del No al referendum è stato largo e tra i tanti vincitori è Grillo quello che ha vinto di più. E allora come ci insegna il grande scrittore Anatole France bisogna ricordarsi che “non esistono governi popolari. Governare significa scontentare”. Una verità che nell’Italia della seconda Repubblica nessuno ha voluto applicare ma tutti, dopo gli anni del governo, hanno ugualmente perso.
edito dal Quotidiano del Sud