Elezioni Presidente della Repubblica. Intervista a Nicola Oddati

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Di Matteo Galasso

Ieri è stato il primo giorno di voto per l’elezione del Presidente della Repubblica. L’elezione metterà fine al mandato di Sergio Mattarella, che ha rappresentato con dignità il Paese negli ultimi sette anni, interfacciandosi anche con la sfida della pandemia che da quasi due anni ha stravolto le nostre vite. Il dibattito pubblico – che verte sempre più su slogan insulsi e sempre meno sui fatti – ha, anche stavolta, accostato questo momento mai così importante per una Repubblica parlamentare ad una messa in scena che ricorda i pronostici del totocalcio. Incombe, di fatto, la necessità di giungere a una candidatura che rispecchi le caratteristiche non solo di un “patriota”, ma anche di un uomo che sia in grado di rappresentare con rettitudine il Paese in un periodo così difficile. Ne parliamo con Nicola Oddati, responsabile delle Agorà democratiche.

 

Oddati, l’attuale contesto politico influenza innegabilmente le elezioni presidenziali. La maggioranza Draghi ha provato, invano, a proporre un candidato. Come valuta quest’esperienza di governo e perché ritiene non si sia giunti ad alcuna mediazione? 

 

Nel corso di queste giornate ci sono stati riscontri tra esponenti della maggioranza. È normale che dal momento in cui siano cominciate le votazioni si sia iniziato a dialogare per una scelta condivisa. A me pare che sia stata giusta l’impostazione conferita a questo percorso da Letta: fin dall’inizio non volevamo un esponente che fosse espressione di una parte politica, anche se – ovviamente – ognuno ha le proprie idee e quindi non esistono figure del tutto neutrali. Ci sono però figure che hanno la capacità di rappresentare alcuni princìpi di fondo e requisiti di cui debba essere dotato il Capo dello Stato. Siamo, quindi, alla ricerca di una persona di altissimo profilo, che incarni i principi costituzionali e li difenda, che come Mattarella sappia avviare una connessione tra istituzioni e Paese reale. Vogliamo, pertanto, un Presidente scelto da una larga maggioranza. L’Italia ha bisogno di una rappresentanza stabile, nel prossimo settennato, per ricostruirsi dalle fondamenta e rinascere, anche dal punto di vista sociale ed economico. Sono fiducioso che l’intero parlamento stia andando verso questa posizione.

 

Si parla tanto di compromesso tra i partiti, ma si dimentica che il Capo dello Stato ha il dovere di preservare e rappresentare l’unità del Paese, così come la sua affidabilità ed integrità morale: per questo motivo, non può limitarsi a essere il frutto di un semplice accordo tra chi ha idee antitetiche. Non Le sembra che si stia affrontando questo tema con eccessiva leggerezza?

 

A me pare che ci sia stato un errore tattico, legato a particolari condizioni storiche del centro-destra. Era chiaro che la candidatura di Berlusconi non rispondesse a nessuna delle caratteristiche cui ho prima fatto riferimento e si sarebbe posta come impedimento ad una proposta seria per un dialogo unitario che solo adesso, dopo il suo ritiro si può proseguire. Il profilo, che alla fine il Parlamento esprimerà, dovrà essere quello di una persona nella quale tutti possano riconoscersi e che abbia una storia personale e politica impeccabile. Ci sono più figure, donne e uomini, che corrispondono a questi requisiti.

Altro tema per noi essenziale è che l’elezione del Presidente della Repubblica sia anche un passaggio che non crei una frattura dal punto di vista della stabilità di governo, perché siamo convinti di arrivare, con il patto di legislatura che abbiamo sottoscritto, fino al 2023, avviando il piano nazionale di ripresa e resilienza e completare un lavoro di fuoriuscita di pandemia. L’ultima cosa che mi viene in mente è il rincaro bollette, che in questo momento incide particolarmente sulla vita delle famiglie. Un governo stabile e un Presidente forte da essere la garanzia di un’azione di governo solida.

 

Nell’ultimo mese diversi esponenti politici si sono appellati all’unità dei partiti rispetto all’elezione di un patriota. Il problema è che questo termine ha assunto significati diversi, se non antitetici, rispetto all’orientamento politico di chi ne fa uso. Cosa significa, secondo Lei, essere oggi un patriota?

 

 

La nostra Patria è quella uscita dalla guerra di liberazione e dalla stesura della carta costituzionale. Il Patriota è chi difende questa carta costituzionale e difende la libertà e la democrazia come valori fondanti della repubblica e che sappia rendere l’Italia protagonista in un contesto europeo e internazionale.

 

Il PD può per la prima volta, anche grazie al progetto da Lei coordinato, mettere fine alla sfiducia globale degli elettori, che, dopo tangentopoli, hanno perso gradualmente il proprio entusiasmo e la propria fiducia nelle istituzioni. Sarebbe opportuno evitare il rischio di dividere ulteriormente un Paese dove il divario tra forti e deboli è esponenzialmente aumentato negli ultimi anni.

 

Credo assolutamente di sì. Noi, prima con Zingaretti e poi con Letta, abbiamo raggiunto la consapevolezza che la nostra democrazia sia malata, con un elettorato che diminuisce di elezione in elezione. Questa tendenza può essere cambiata anche grazie all’utilizzo della spid democracy. Se vogliamo realmente effettuare riforme che entrino radicalmente ed in profondità nella vita del Paese abbiamo bisogno di cittadini che siano protagonisti consapevoli e partecipi della politica, non distanti e lontani. Spetta ai partiti, in particolare al nostro, strutturato, organizzato e che aspira ad essere di prossimità, consentire di sperimentare la democrazia partecipativa. Cerchiamo, con il progetto delle agorà, di permettere a chiunque voglia di aiutarci a cambiare in meglio sin ogni campo. Abbiamo fatto un atto di coraggio: tanti cittadini vi stanno partecipando.

 

Non Le sembra che il dibattito pubblico da giorni focalizzato solo sull’elezione del Quirinale sia solo l’ennesimo pretesto per non affrontare con immediate soluzioni il progressivo aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche sempre più critiche?

Il passaggio dell’elezione del Presidente della repubblica è un momento importante, quasi solenne, nella vita del nostro Paese. Non c’è dubbio che sia decisivo bisogno di mettere in campo misure a sostegno dei più deboli: l’Italia affronta una disuguaglianza generazionale, di genere e territoriale. A queste si accompagna una squilibrata distribuzione delle ricchezze, concentrata nelle mani di pochi, cosa inconcepibile in una democrazia come la nostra. Occorrono scelte radicali. È tempo di introdurre il salario minimo, che, ricordiamolo, l’Italia è uno dei pochi Paesi a non avere in UE: questo penalizza soprattutto i lavoratori più precari. Bisogna estendere il reddito di cittadinanza fino a farlo diventare una misura di stampo universalistico, oltre a portare avanti la riforma degli ammortizzatori sociali. Occorre un intervento radicale per ridurre il peso dell’aumento delle materie prime (gas ed energia) che penalizzano i più fragili. Questi sono interventi immediati, mentre il Pnrr individua alcune priorità ambientali, tecnologiche e sanitarie che possono ridurre questa disuguaglianza. Considero fondamentale l’azione di questo governo e spero che nel 2023 si possa votare e possa prevalere un orientamento più equo.

 

Nelle ultime settimane si è parla di semipresidenzialismo de facto, con un’unica figura che si trovasse allo stesso tempo a Quirinale e Palazzo Chigi. Quest’affermazione, accompagnata da altre che chiedono una riforma che trasformi l’Italia in Repubblica Presidenziale, rischia, in un momento così delicato, di stravolgere l’attuale assetto costituzionale. Non crede si debba adoperare una maggiore prudenza prima di rilasciare dichiarazioni del genere?

 

Io non credo che corriamo questo pericolo. La Costituzione mette in campo tutti gli strumenti per eliminare ipotesi di questo tipo. Il Presidente del Consiglio e quello della Repubblica resteranno ruoli divisi. La politica deve assumersi le proprie responsabilità e tornare ad essere forte, ma questa forza è determinata dalle proprie capacità di rappresentare realmente i cittadini, non chiudendosi nel palazzo. Il PD con le agorà va proprio in questa direzione: attribuire la sua forza alla politica, solo così si evitano tentazioni autoritarie.

 

Esistono, quindi, a suo parere, delle possibilità che per la prima volta una sinistra unita riesca a svincolarsi e, addirittura contrastare l’egemonia neo-liberista a vocazione tecnocratica sotto la quale si sono create le condizioni per un governo senza opposizioni?

 

Questo Governo si è insediato momentaneamente per risolvere la situazione di emergenza in cui versiamo. Dobbiamo ricordare che la risposta dell’Europa alla pandemia sia stata solidale e assistenzialista nei confronti dei più deboli e non neo-liberista solidaristica ed espansiva: il Pnrr non si adatta alla politica della crisi del 2008 e sono fiducioso, quindi, del lavoro fatto finora in Italia e degli effetti generati da questa misura. Sono fiducioso anche del lavoro che stiamo facendo per presentare agli elettori un campo largo di centro-sinistra. Si dovrà continuare con questo ritmo anche dopo la vittoria delle amministrative. Dobbiamo avere il coraggio di proseguire nella costruzione di questa coalizione.

 

Perché non prendere in considerazione l’elezione a Capo dello Stato di una donna?

È una possibilità concreta e nella coscienza collettiva questa esigenza è sentita da tanti: non solo dalle donne che combattono contro le discriminazioni, ma anche da tanti uomini. Potrebbe succedere anche in questo caso: è tempo che le donne siano al vertice di ogni settore.