Elezioni, un vuoto desolante 

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La campagna elettorale registra il suo pieno svolgimento, con iniziative delle varie compagini partitiche e presentazione di programmi per il futuro.
Alcuni con qualche margine di attuazione, altri palesemente irrealizzabili a fronte delle scarsità di risorse finanziarie di sostegno. Il dato sconcertante che emerge da questa campagna è l’assoluta mancanza di lettura dei candidati della patogenesi della devianza sociale ed umana: è scomparso il volto buono di una comunità che ha mostrato, nei momenti difficili, di sapersi rialzare dalle emergenze. Adesso non è più così, la famiglia, la scuola, la Chiesa locale, sono in affanno, probabilmente anche perché non costantemente e attivamente coordinate su percorsi progettuali comuni, con testimonianze esemplari capaci di costringere anche ai meno attenti di rimboccarsi le maniche per delineare concretamente un nuovo risorgimento civile e sociale. E i partiti, attraverso i contributi della campagna elettorale in corso, navigano verso approdi distanti anni luce dalla drammatica ed urgente domanda di riconnessione della trama di un tessuto comunitario sconnesso, senza identità e senza potenzialità di rappresentare un connettivo di speranza e di futuro.

Nel quadro di questo opaco orizzonte comunitario, torna – senza una risposta credibile – il perché i giovani, le donne, gli anziani e tanti altri dovrebbero andare a votare. Soprattutto per chi votare se nessuno riesce a parlare, con responsabilità e competenza, alle coscienze degli elettori, da troppi anni considerati facile preda per un consenso utile solo a chi riesce a carpirlo. Con questo sforzo di lettura della situazione attuale non mi ritengo tra coloro che, affetti da una cronica sindrome di romanticismo politico, non considera i pilastri programmatici necessari per uno sviluppo integrato, capace di alleviare la disoccupazione, aumentare i consumi e la produttività e uscire, progressivamente, dalla lunga crisi. Sono comunque tra coloro che ritengono di dover coniugare sviluppo economico con la crescita valoriale del connettivo, umano e spirituale, delle nostre comunità.

L’indifferenza etica delle comunità di appartenenza costringe la politica a limitare i propri temi elettorali e programmatici alle problematiche tecniche ed economiche, comunque incapaci, da sole, di mobilitare i cittadini alla partecipazione democratica e quindi al voto. Il comunitarismo ha avuto il merito – e secondo me può ancora averne nel momento presente – di correggere tali pericoli, facendo riscoprire l’importanza della comunità per la formazione della propria identità, con la capacità di eleggere una classe dirigente figlia del proprio humus comunitario e quindi capace di leggerne istanze e priorità specifiche. La vicenda delle candidature paracadutate dall’alto nasce proprio dalla diffusa incapacità dei partiti di sanare la totale mancanza del senso di appartenenza dell’elettore e la distanza deleteria delle comunità con i livelli di rappresentanza democratica che tali non sono più, nella sostanza dell’agire politico al servizio del bene comune.

La stessa crisi da più parti avvertita e sbandierata, del Comune di Avellino, costituisce la conseguenza inevitabile di una comunità lacerata, alla vana ricerca di punti di riferimento certi per la ripresa di una nobile e proficua partecipazione democratica. Se la campagna elettorale attuale non riesce a far emergere il valore fondamentale della comunità si configura un orizzonte ancora più tetro per le prossime amministrative: una comunità disorientata e indignata non può sperare di scegliersi amministratori capaci e responsabili.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud