Far rivivere l’impegno di Levi

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In un’epoca dominata solo dal presente senza nessuna prospettiva per il futuro e da una memoria assente, è giusto ricordare fatti e personalità che non solo hanno fatto la storia ma ci aiutano a capire meglio questi nostri tempi.  Siamo ancora tristi per la scomparsa di due intellettuali ironici come Camilleri e De Crescenzo ma il ricordo oggi è per uno scrittore che non deve essere dimenticato: Primo Levi. Nasceva il 31 luglio di cento anni fa a Torino. La data che segnerà la sua vita è quella del 13 dicembre 1943 quando viene arrestato dai fascisti in Valle d’Aosta  venendo prima mandato in un campo di raccolta a Fossoli e, nel febbraio dell’anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Scampato al lager tornò avventurosamente in Italia, dove si dedicò con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite. La sua opera più famosa “Se questo è un uomo” narra le sue terribili esperienze nel campo di sterminio nazista ed è considerato un classico della letteratura mondiale.  Un libro che è insieme una testimonianza diretta dell’orrore visto e una riflessione morale sull’aberrazione dell’animo umano. Eppure all’inizio questo “capolavoro” venne rifiutato dalle grandi casi editrici.  Pubblicato nel 1947 da un piccole editore di Torino, De Silva, “Se questo è un uomo” verrà poi riproposto da Einaudi nel 1958. Levi è un chimico con il sogno di fare lo scrittore ma deve la sua notorietà letteraria a questa straordinaria testimonianza dell’abisso che ha vissuto in prima persona. Egli stesso ha detto di essere nato come scrittore con un libro sui campi di distruzione, e poi di essere diventato un narratore attraverso la storia del suo ritorno da Auschwitz, La tregua del 1963. Deve la sua vita però all’essere un chimico ed infatti proprio Levi racconta che quando  si trova vis-à-vis con l’ufficiale tedesco che gli fa l’esame per capire se è un chimico, i due si guardano da vicino, e Levi immagina che l’altro pensi di lui così: questo qualcosa di fronte a me merita certamente di morire, ma prima vediamo se contiene qualcosa di utile. Lo scrittore Ferdinando Camon che ha conosciuto personalmente Primo Levi in un articolo per il quotidiano Avvenire sostiene che “cento anni fa nasceva lo scrittore italiano più importante del secolo. Dove sta la sua grandezza? Sta nell’aver vissuto in prima persona e osservato e descritto la massima colpa della storia non al grado massimo in cui si verificava, ma al grado massimo in cui era ricordabile e raccontabile. Un altro passo, e anche Levi, come molti altri, non avrebbe ricordato e non avrebbe scritto. Levi parla. Con precisione, con lucidità, con verità. Con uno stile classico. I suoi libri sono un atto d’accusa freddo e inflessibile. Contro la cultura razzista, il regime razzista, il progetto della Soluzione Finale, l’attuazione di quel progetto, il nazismo. È la Storia del Male, che ha come motore il Führer. L’immensa macchina del male descritta da Levi serviva a tre cose: punire, produrre, eliminare. È un mondo senza Dio, in cui si sente fortissima l’esigenza di Dio”.  La portinaia che trovò il cadavere di Primo Levi l’undici aprile del 1987 dopo aver sentito un tonfo nella tromba delle scale dichiarò ai giornali di aver subito riconosciuto il dottor Levi nel pover’uomo che giaceva schiacciato sul pavimento, il sangue gli nascondeva la faccia. Una fine tragica nella casa in cui era nato e in cui aveva vissuto per tutta la vita. La sua assenza più lunga era stata dal ’42 al 45 e la raccontò nei suoi libri. L’ultimo era uscito nel 1986: i sommersi e i salvati.

di Andrea Covotta