Fare rete sul territorio, la sfida di Mia contro la violenza. Sica: è finito il tempo delle parole, serve una rivoluzione

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C’è una crisi forte che pervade la nostra società. Un male subdolo e pernicioso, che sembra infettare ed inquinare tutto. Siamo ormai in guerra aperta, in guerra aperta e dichiarata. L’ennesimo femminicidio, il caso di cronaca nera che ha sconvolto tutti, quello che riguarda la piccola Giulia, la cui immagine delicata, con i suoi occhi ancora innocenti ed aperti sul mondo, non può non porci domande inquietanti. Ma allora cosa ne è stato del movimento femminista? Intendo quello serio, non inquinato da false ideologie,  quello che propone un modello libero del femminile, non un prototipo che riproduce obsolete strutture patriarcali e maschiliste. Si sono fatti, forse, dei passi indietro rispetto a quelle che erano le nostre aspettative? Sono intrise di violenza le pagine della nostra quotidianità, si susseguono, con cadenza implacabile, le uccisioni di donne, colpevoli solo di rivendicare il proprio diritto di essere libere, di realizzare il proprio potenziale umano, di vivere la propria vita senza sbarre o costrizioni stereotipate, retrive.

Gli ultimi drammatici avvenimenti di cronaca nera, ci restituiscono il volto di giovani donne, a volte anche madri, a cui è stato strappato, secondo una logica aberrante, basata sul possesso, secondo cui la donna è vissuta come mero oggetto, o come appendice e prolungamento esistenziale del maschio, il diritto di vivere. Ha suscitato dolore e sgomento, anche per la giovanissima età dei protagonisti, oltre che per la crudeltà del delitto stesso, il drammatico caso di Giulia Cecchetin, che ha scoperto il vaso di Pandora, che nessuno voleva aprire, che nessuno voleva vedere. E’ ormai chiaro che, anche tra i più giovani, l’idea della donna intesa come proprietà privata del maschio, è radicata in maniera atavica. Sembra che i fermenti del femminismo sano, che pure avevano reso fiorito il periodo del sessantotto, siano solo il ricordo sbiadito di una generazione sognatrice ed idealista. Eppure, oggi più che mai, dalle donne iraniane alle attiviste indomite di ogni nazionalità, dalla figura della piccola Malala a quelle delle nostre studentesse scese in piazza contro la violenza di genere, il grido delle donne che rivendicano i propri diritti, si eleva più forte e più ardito che mai, sfidando tutti gli stereotipi, tutti gli steccati maschilisti.

Anche nella nostra realtà, la presenza potente delle donne che vogliono fare rete, fare scudo contro il proliferare della violenza di genere, si è concretizzata in una associazione femminile anti – violenza, dal nome emblematico: “Mia”. Anime di questa associazione, Emanuela Sica, scrittrice, poetessa, impegnata da anni in una strenua battaglia contro il dilagare della violenza sulle  donne e Rita Nicastro, docente anch’essa attiva contro ogni ingiustizia, discriminazione e violenza. «Il nostro è un movimento di donne per le donne, per fare rete attiva sul territorio – ribadisce Sica. La violenza è un “progetto” che inizia dalle fondamenta. Nel senso che gli “indizi” per capire che, lentamente, ci sta costruendo il sepolcro dove tumularci, lui ce li “consegna in visione”, sistematicamente. Perché l’uomo violento dissemina “prove” in ogni azione che compie o in ogni parola che dice. Quindi, chiedo di fare “attenzione”, perché se li capiamo, sin dal principio, possiamo “rompere” i piani edificatori che ci porteranno al camposanto. Ad esempio, quando qualcuno inizia a dirci “tu sei mia”…scappate. E’ finito il tempo delle parole, iniziamo a cambiare il registro narrativo. Le vittime non se ne fanno nulla delle mie o delle vostre parole, ridotte in piccole o in grandi poesie, vogliono azioni concrete. Quelle vive vogliono restare vive, quelle morte, non vogliono essere morte invano.». E’ accorata la denuncia di Emanuela Sica, che vede la drammatica situazione in cui ci troviamo anche in Italia, con una escalation di femminicidi, che sembra retrodatarci al tempo in cui vigeva il “codice d’onore”, un tempo, peraltro, storicamente ancora vicino. «Una donna di 67 anni, alcuni giorni fa, è stata uccisa, dal marito, a colpi di mazza da cricket. Un’altra donna, di appena 42 anni, ad Andria, è stata accoltellata a morte dal marito. Ed allora c’è bisogno non di un minuto di silenzio, non di poesie. Niente più scarpe o rose messe in bella mostra sui palcoscenici. Niente più convegni. Niente più parole inutili. Niente più retorica. Sorelle, qui serve una rivoluzione! Qui serve un sessantotto contro la dittatura del maschilismo più asfissiante e cruento – stigmatizza Sica – che condanna a morte alcune e lascia in vita altre». Un appello accorato che vede noi donne in prima linea, non ripiegate in sterili rivendicazioni, ma pronte ed ardite nel ribadire la sacralità del nostro essere, nell’integrità di intelligenza, volontà e libertà e di poter scegliere della nostra vita. Consapevoli e libere, in una battaglia trasversale, che coinvolge più generazioni e che ci riscatta dallo stereotipo dell’obbedienza passiva ed acritica, per restituirci, finalmente, a noi stesse.

Vera Mocella