Fierro a tutto campo sulla città e la politica irpina: rompere i patti di potere

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Lucio Fierro,  riferimento  della sinistra dem,  parla dei   problemi  dell’Irpinia e della città.

«Siamo ad uno snodo importante: le istituzioni devono definire le loro proposte, anzi i loro progetti, per attingere ai fondi comunitari 2014-2020, ma lo spettacolo avvilente della loro crisi determina la preoccupazione legittima che l’Irpinia ci arriverà a ranghi sparsi con micro-progetti comunali senza una strategia condivisa e senza la possibilità di utilizzare queste risorse per dare risposte ai suoi drammatici problemi».

Fierro, quali sono i problemi «drammatici» di cui parla?
Basterebbe uno per tutti: ormai da qualche anno si è riattivata una corrente migratoria che porta fuori dall’Irpinia il meglio delle nuove generazioni. In alcuni paesi dell’interno lo spopolamento è già diventato tragico. Questo si coniuga con i colpi che ha ricevuto l’apparato industriale irpino negli ultimi anni, non compensati da iniziative sostitutive, con la spinta alla precarietà nelle attività artigianali e commerciali, con il degrado di una serie di servizi pubblici come sanità, trasporti e assistenza.
Solo un qualche elemento incoraggiante lo presenta la vitalità dell’agroindustria e quella di alcune, poche, aziende pilota nel settore industriale. Troppo poco per lasciare intravedere una prospettiva di ripresa.

Ad Avellino città com’è la situazione?
L’area urbana di Avellino non si differenzia granché dal quadro generale. Il suo apparato industriale è vecchio e stanco, le imprese sono sostanzialmente solo quelle venute fuori nel dopo terremoto e molti pochi sono gli elementi innovativi pure qui con un qualche collegamento con il mondo dell’agroindustria. La città, peraltro vive sul terreno dei servizi pubblici, le stesse cadute di qualità conseguenti ai tagli e alle riduzioni della spesa che il resto della provincia.

L’Area vasta potrebbe essere uno strumento per lo sviluppo?
La programmazione dell’Area Vasta si potrà definire iniziata quando, a partire dal Comune di Avellino e passando per altri consigli comunali, avremmo avuto l’approvazione di un qualche documento di orientamento strategico che indichi le idee su cui lavorare, le scelte di priorità fatte, le risorse a cui attingere e la definizione di un credibile meccanismo di governance per l’avvio delle progettazioni e quindi per la candidatura a finanziamenti effettivi.
Circolano bozze di documenti ma il dato vero è che con la crisi al Comune di Avellino l’Area vasta urbana perde la guida e a causa della scellerata trasformazione delle province, private nei fatti del ruolo di rappresentanza politica generale dell’intero territorio, essa non è sostituita da nessuno.
D’altro canto, la stessa Area vasta dell’Alta Irpinia, che pure è stata identificata come “pilota” e gode di un percorso preferenziale, rischia di essere paralizzata dagli scontri che oggi oppongono i sindaci dei Comuni più importanti al Coordinatore Ciriaco De Mita ed a chi lo sostiene. Non si hanno grandi notizie di quale lavoro si stia facendo nell’Ufita e nell’area Solofrana: uno spettacolo nel complesso desolante. A questo si deve aggiungere che lo smantellamento operato nei fatti del cosiddetto Tavolo dello sviluppo ha eliminato, uno dei pochi punti in cui le istituzioni “parlavano” con le forze sociali e si cercava di costruire una visione unitaria dei problemi dell’Irpinia senza sostituirlo con alcunché.

C’è qualche analogia tra gli scontri che si vedono nel Consiglio comunale di Avellino e quelli che si verificano nell’Area vasta?
C’è un unica analogia: che nell’uno e nell’altro caso sono scomparsi i partiti politici e si è scaduti in una personalizzazione del confronto che è andato degenerando in scontro e lotta per bande e poco cambia se ne sono protagonisti sindaci in Alta Ipinia e consiglieri comunali in città. Insomma è compito principale dei partiti fare sintesi sulle questioni di un territorio: se non lo fanno, non hanno più alcuna ragione di esistenza. E i fatti dimostrano che la sintesi affidata a chi per la natura dell’incarico che ricopre è rappresentante di una “parzialità”, come è un sindaco o un consigliere comunale, è assolutamente impossibile.

Uno dei terreni di scontro sono i Gal?
Lo scontro tra i Gal nasce da un infelice bando e dalla volontà della politica di mettere mano su uno strumento che sembra essere un canale privilegiato per un clientelismo di basso cabotaggio. Ma in Alta Irpinia ha una ulteriore valenza politica. Qui nasce da un errore gravissimo, a mio avviso, compiuto dall’onorevole Ciriaco De Mita, a cui ha tenuto bordone la presidente del consiglio regionale, Rosetta D’Amelio. Siamo di fronte ad un patto di potere tra i due che invece di applicarsi alle cose da fare si applica alla divisione del comando. Io ho considerato in qualche modo legittimo che nell’ambito del Progetto Pilota operasse un unico Gal. Non ci vogliono molte parole per spiegarne l’utilità. Sarebbe stato un bene per quel territorio; ma se l’operazione è giusta ad essa si sacrificano gli appetiti e la bassa macelleria. Agli occhi di tutti è apparsa solo come un’operazione di potere imporre la bella coppia Chieffo e Giordano, operazione per di più avvelenata dal rancore verso chi a Lioni si era schierato contro l’accordo De Mita-D’Amelio: insomma non molto di più di una vendetta.
Che di questo si tratti ne è prova quello che avvenuto al Piano di Zona sociale con il colpo di mano ha portato Farina, il più demitiano degli iscritti al PD, alla presidenza. Insomma, per dirla tutta, invece di approfondire i limiti di un progetto, quello contenuto nel “preliminare”, ciò che sembra interessare alla coppia De Mita-D’Amelio è chi comandi, chi si candida a fare da “intermediario" con la Regione, nella distribuzione delle mance al territorio. Ed è infatti fuor di dubbio che il “preliminare” come è non dà risposta alcuna alla grande questione posta dall’Alta Irpinia, quella della spopolamento, che lascia nel vago l’idea lanciata da Bonavitacola del distretto ecologico, che non affronta nessuno dei nodi dell’economia, che è carente di tutte le questioni che riguardano i servizi all’economia e che dà risposte del tutto insufficienti su sanità, trasporti e scuola.
L’effetto di questa guerra è stato devastante: l’unità pur nella dialettica che si era realizzata intorno ai primi documenti, è saltata. Chi voleva un unico Gal corrispondente al Progetto pilota si ritrova i Comuni del Progetto pilota in quattro Gal di cui uno con la testa nel salernitano e cosa ancora più grave avendo determinato l’espulsione di un Comune come Calitri: siamo al ridicolo. Sono ferite difficili da rimarginare. Ed il grande assente è stato il partito di maggioranza relativa in questa provincia e in quell’area: il Pd.

Qual è il ruolo di Scelta Civica nella vicenda dei Gal?
I demitiani si lamentano che si sia creato spazio e ruolo per Scelta Civica, che la resistenza degli altri, i sette sindaci ai loro disegni abbia creato spazio ad una forza politica inesistente, appunto Scelta Civica. E’ una accusa che devono ritorcere su se stessi. Gran parte delle adesioni al Gal promosso da D’Agostino sono venute infatti dalla insofferenza di tanti sindaci all’arroganza della coppia alta-irpina e alla interferenza del Consigliere regionale Petracca. Se si è rialimentato un antidemitismo come rifiuto di un sistema di potere la responsabilità è di chi ha voluto dare un’ immagine di se stesso proprio l’immagine di un sistema di potere. Ma ancora più grave è la responsabilità di chi a questo sistema di potere ha dato spazio accodandosi, coprendolo, accontentandosi delle briciole che gli venivano elargite. E’ del tutto evidente che la miopia politica della D’Amelio abbia raggiunto livelli incommensurabili. Parlo di miopia perché questa strategia non serve neppure alle ambizioni della D’Amelio, al massimo gli scava una fossa, come mostra la frantumazione del sistema di relazioni che aveva costruito e che si va sbriciolando. A partire dal suo grande protettore il sottosegretario Del Basso De Caro.
Ho scritto in un’altra circostanza che la D’Amelio avesse un grave problema di sdoppiamento della personalità quella di dipendere in Alta Irpinia da De Mita e nel resto della Campania da Del Basso De Caro. A quanto pare per sua fortuna questo dramma schizofrenico sembra essere stato risolto perché la D’Amelio gli ordini li piglia ormai solo da De Mita.

Sulla città forse si registra una marcia indietro di D’Amelio?
Credo che le logiche della città siano del tutto diverse da quelle dell’Alta Irpinia. Per quanto riguarda la situazione politica della città, la mia opinione è che la D’Amelio non sa che pesci prendere: è spinta dai suoi ad atteggiamenti di rottura contro Foti ma non ha il coraggio di andare fino in fondo. E’ in uno stato di confusione mentale nel quale è difficile individuare un ruolo e una funzione. Sembra l’asino di Buridano: incerta se fare l’accordo con Foti, con il rischio di perdere i suoi, o di fare l’opposizione a Foti con il rischio di vedere i suoi oggetto di un provvedimento disciplinare, sballottola la testa tra l’acqua e il fieno e non si decide né a mangiare né a bere, con il rischio di morire sia di fame che di sete.

Il Patto dei “cento giorni” a che cosa serve?
A me sembrano parole senza senso. Io credo che la gente guardi sconcertata a quanto avviene Palazzo di città. C’è una amministrazione che ha fatto fallimento e la strada per chiudere questa esperienza è semplice: le dimissioni della maggioranza dei consiglieri o del sindaco e tornare a votare al più presto. Ma, come ho detto da mesi, questa è una strada che non ha la possibilità di uno scatto di dignità che possa farla percorrere. L’alternativa sarebbe quella di guardare alla città, partire dall’Area vasta, mettere mano alle questioni che sono state sollevate dagli interventi della Magistratura, volgere lo sguardo alle periferie e alle nuove povertà che vi si radunano, definire cioè una scelta su poche questioni ma che dia il senso di un cambio decisivo di rotta da parte di tutti. La mia paura è che né l’una né l’altra strada abbia protagonisti all’altezza di percorrerla. Cioè non si scioglierà il Consiglio comunale, non si troverà in Consiglio l’intesa su poche cose da fare. E’ un suicidio della politica che somiglia per molti versi alla situazione romana che ha preceduto la caduta della la giunta Marino: quello che i partiti tradizionali non vedono, il Pd in testa, è che si sta costruendo un brodo di cultura per una rottura della storia politica della città. Io non vedo un M5s già pronto ad indicare alla città una candidatura credibile di sindaco e la proposta di credibili volti nuovi per il Consiglio comunale. Ma chi si culla in questa previsione potrebbe trovarsi di fronte ad una sorpresa: contro la politica tradizionale possono venire avanti anche soluzioni alla De Magistris: il coagularsi attorno ad un personaggio capace di far vibrare le corde del populismo, del malessere e della disaffezione. Un dato è certo: il Pd, partito di maggioranza, in questa città sta consumando ogni residuo di credibilità. Nessuno si meravigli se farà la fine del Pd di Napoli o di Roma.

Qualcuno dice che è partita la campagna elettorale per le prossime amministrative…
Qualcun altro dice che si è aperta la compagna elettorale per le politiche… Questo è il segno di quanto sia piccola la statura di quegli uomini che sono in campo sulla scena politica irpina. Nei prossimi mesi attraverso il referendum si delineeranno scenari, oggi non valutabili, per l’intero paese. Solo chi è stupido pensa di poterli affrontare tenendone fuori l’Irpinia e Avellino. Se fossero saggi penserebbero a fare i conti con il proprio dovere rispetto gli elettori, che è quello in Parlamento, in Consiglio regionale, nei Comuni, di affrontare i problemi della gente in carne ed ossa, perché non vi è dubbio che alla fine della giostra conteranno certo le protezioni e le clientele che si saranno determinate ma il giudizio finale potrà anche tornare all’elettore disinteressato.