Francesco e la complessa transizione

0
334

Di Gerardo Salvatore

Se dovessimo tentare di riassumere, in maniera semplice e di immediata percezione, il decennale del pontificato di Papa Francesco, potremmo dire che quella da lui voluta è una Chiesa povera tra i poveri. Per comprendere più approfonditamente l’opzione preferenziale del Papa “venuto da lontano” bisogna ricordare che ha riportato la teologia della liberazione in Vaticano. Va sottolineato “riportato” perché tale teologia è stata concepita proprio a Roma durante il Concilio Vaticano II con il Patto delle Catacombe del 1965 firmato, tra gli altri, dal brasiliano Helder Camara e dall’equadoriano Leonidas Proaño. La teologia della Liberazione nata in Columbia nel 1968, dopo tre anni di gestazione, dalla Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medelin e diventa maggiorenne a Puebla, undici anni dopo, quando gli stessi vescovi s’incontrarono. Seguirono trentacinque anni di emarginazione vaticana, per i sospetti di marxsismo, a cui Papa Francesco pose fine pochi giorni dopo la sua elezione, quando ricevette una copia del Patto delle Catacombe dal premio Nobel per la Pace e pacifista argentino Adolfo Pérez Esquivel. Attualmente non pochi autorevoli osservatori del papato di Francesco ritengono che il Patto delle Catacombe sembra un compendio precisoe dettagliato dei punti principali del programma pastorale dell’attuale papa. Anzitutto è evidente che Papa Francesco ha liberato il papato dal modello della monarchia spogliandolo dell’aura del mistero ed eccezionalità che derivava dal potere imperiale e dalla sua mistificazione antievangelica: non sono casuali le sue scelte di abitare a Santa Marta e che, nel 2019, il Palazzo Migliori, un edificio a quattro piani accanto al colonnato di San Pietro, divenisse un centro d’accoglienza per i senzatetto di Roma. I criteri di Francesco per scegliere i luoghi e i Paesi da visitare sono stati chiari: la povertà, le guerre e i disastri naturali hanno le priorità. Le espressioni ricorrenti di “una Chiesa in uscita” e “una Chiesa ospedale da campo” sono di una straordinaria e concreta attualità. Poco prima dell’elezione di Papa Francesco i cattolici costituivano il 17,8% della popolazione mondiale e il 50% di tutti i cristiani. Nel 1910 il 65% dei cattolici erano europei, oggi sono meno del 25%, invece i cattolici africani sono passati da meno dell’1% al 15% e gli asiatici dal 5% al 12%. Con Papa Francesco il collegio cardinalizio europeo è passato dal 52% al 40% e per la prima volta nella storia della Chiesa non ha più la maggioranza. Pensiero pastorale e concreta azione riformatrice, quindi, scoperchiando pentole bollenti, come gli abusi sessuali e le operazioni di speculazione finanziaria in Casa Vaticana. Sarebbe davvero lungo e significativo il novero delle novità di Francesco, tutte sintonizzate al concetto di una Chiesa pover tra i poveri. Frattanto va ricordato l’unico e davvero illuminato sforzo per la Pace per evitare le “guerre a pezzi” presenti sul pianeta e la grande enciclica “Laudato sii”, un documento di straordinaria chiarezza nei confronti dell’economia capitalista predatoria e della estrema violenza del sistema neoliberale. In sintesi lo straordinario sforzo magisteriale di Francesco appare davvero profetico ed attuale nell’epoca di transizione che stiamo vivendo in una società complessa a livello locale e globale.