Francesco, il karting: storia di un campione di provincia

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di Ranieri Popoli

A Tufo, mi aspetta nel suo studio-rifugio Francesco Palladino. Più che un ufficio è una vetrina dove campeggiano decine di trofei di ogni sorta, foto ricordo e oggetti che riportano al mondo delle quattro ruote. Per iniziare gli chiedo quando è nata la sua passione per l’automobilismo di base, il karting.

Questa passione è nata circa dieci anni fa quando a Tufo c’era un gruppo di ragazzi i quali avevano il proprio kart e che di solito si ritrovavano presso il kartodromo di Prata Principato Ultra. A dire il vero un po’ di passione per il mondo dei motori era maturata ancor prima grazie alla frequentazione dell’officina di famiglia di un mio vicino, il quale mi ha fatto crescere sempre a “pane e motori” .

In effetti una partenza per un viaggio che poi non si è più fermato per cui probabilmente senza volerlo ti sei trovato in modo naturale nel mondo delle competizioni sportive.

Ho svolto il mio primo campionato della categoria “Rotax” rivolgendomi al collaudato team “Laudato”, di Cava dei Tirreni, del quale faccio ancora parte. Nel 2017 sono approdato alla categoria “D2” , campionato nazionale, area “Centro-Sud” . Negli anni successivi sono riuscito a conquistare il podio di Vice campione nazionale e lo scorso anno la dodicesima posizione nel Campionato mondiale di Portinaro, in Portogallo.

Entrare nel mondo dello sport non vuol dire solo competizioni e traguardi ma anche disciplina, regole. E questo per un giovane significa ricevere una certa “educazione” cioè un abituarsi a precisi canoni comportamentali .

Uno sport è comunque una disciplina, altrimenti sarebbe un gioco derubricato al libero arbitrio, per cui c’è un’educazione a essere temprato sia nella competizione che nella quotidianità. Da questo principio ho tratto un insegnamento a 360 gradi che mi ha fatto capire che il team è una famiglia.

L’incontro con il mondo dello sport credo che oltre ai principi comportamentali abbia inciso anche sulla tua maturità evolutiva favorendo lo stesso processo di autonomia generazionale.

E’ vero. Ricordo che nel 2018 andai per la prima volta a gareggiare in Toscana senza essere accompagnato da mio padre ed avere l’ appoggio psicologico di mio fratello e fu un disastro perché essendo abituato al loro sostegno non ero pronto per agire da solo e questo mi è servito da lezione per emanciparmi in tal senso.

Sei entrato in uno sport, che per le sue caratteristiche e per ciò che si è determinato a livello internazionale dal punto di vista della sua proiezione economica è, per dirla con una battuta, “roba da ricchi”.

Dopo qualche anno di competizioni mi sono reso conto che al di là degli aspetti umani e organizzativi quello che incideva in modo condizionante in questa disciplina sportiva era il budget,. In questa fase, sono sincero , iniziai ad avversare tutto, ma poi considerato che era forte la passione in me ho ritenuto che laddove non ci si poteva arrivare con i soldi i risultati li si potevano ottenere con il sacrificio e l’impegno.

E a proposito di differenze, il fatto di essere un pilota di una provincia del Sud ha condizionato in qualche modo la tua esperienza sotto l’aspetto umano e sportivo?

Un giorno, però, un mio avversario di pista mi disse che non era giusto sentirsi penalizzati in quanto “ragazzi del Sud” perché a differenza dei piloti “padani” noi avevamo una grinta e una passione che loro non avevano essendo appagati dal business dei teams.

E questa differenza l’hai potuta notare anche nelle tue esperienze estere considerato che hai sostenuto competizioni internazionali e di livello europeo?

Sì. Esistono anche differenze tra piloti di diverse nazionalità. Ad esempio gli inglesi sono una sorta di robot nel senso che non si fanno condizionare dalle emozioni, Per noi italiani la presenza e il comportamento del pubblico è importante mentre loro non lo vedono affatto perché esiste solo il bisogno di dominare se stessi e la macchina..

Abbiamo parlato del rapporto umano nell’ambito dello sport ma ai tuoi occhi quello tra pilota e macchina, oggi, come si struttura? 

Quando si infila un casco da corsa avverti i rumori ovattati e quando abbassi la visiera hai l’orizzonte oscurato e allineato solo a quel punto di osservazione. Per cui già dal punto di vista sensoriale sei in un’altra dimensione. Il kart non è un complesso tecnologico ma è solo una macchina con strutture per cui la macchina devi fartela tua e non viceversa come accade nelle formule superiori.

Interessante la tua riflessione per cui mi viene da chiederti se per te la macchina da corsa è un’amica o qualcosa da dominare?

Non sempre è un’amica. Ci sono momenti in cui il pilota e la macchina sono una cosa sola ma ci sono anche fasi durante le quali la macchina si “ribella. Quando le cose non vanno bene ci si chiede sempre se la colpa sia del pilota o della macchina, Io credo che per il settanta per cento delle volte la responsabilità sia del pilota, del suo errare umano.

E come si riesce a gestire, stando bloccato in uno ristretto abitacolo, senza molti supporti tecnologici, questa consapevolezza durante i pochi minuti di una sessione di gara?

In ogni gara ci sono tre fasi: iniziale, intermedia e finale, alle quali corrispondono altrettanti comportamenti del pilota e prestazioni del mezzo. L’insegnamento è quello di imparare a gestirti e a non pretendere sempre il cento per cento. La terza è quella conclusiva che raccoglie quello che hai saputo dare e gestire nelle precedenti e ti conduce al risultato finale.

Quello delle quattro ruote è uno sport particolare nel senso che non è né esclusivamente individuale, tantomeno totalmente collettivo.

E’ individuale dal momento in cui si parte a quando si arriva al traguardo ma ci sono momenti durante i quali occorre necessariamente relazionarsi con il team, per eventuali rettifiche meccaniche, ad esempio. In pista il tuo avversario può essere anche il migliore amico ma lì è un tuo competitore che devi necessariamente vincere.

Un giovane competitore, preso per suo naturale temperamento è come uno che vuole ottenere tutto e subito, ma che nel tempo non raggiunge i traguardi a cui ambiva.

I miei risultati non li ho mica raggiunti subito in quanto nei primi tre anni non ho ottenuto vittorie. Ma non tutti hanno tanta pazienza nell’attendere . La regola di fondo dovrebbe essere quella “del mai mollare” perché quando meno te l’aspetti puoi iniziare a conseguire risultati importanti. Se non cadi non ti rialzi e se non fallisci non impari. Io non perdo mai. O vinco o imparo .

Un microcosmo globalizzato potremmo definire l’automobilismo contemporaneo. Ma allora la tecnologia perché non è entrata più di tanto nel mondo del karting ?

La tecnologia a dire il vero è entrata in questo mondo ma non è correlata al funzionamento del veicolo bensì al suo monitoraggio, come la telemetria, applicata alle misurazione dei diversi componenti e prestazioni della macchina da corsa. E, comunque, a mio avviso è stato un bene altrimenti l’invadenza tecnologica avrebbe fatto diventare il karting una specie di formula uno in scala.

Come pensi che possa evolversi professionalmente questa tua esperienza di karting ? E se e quando dovesse concludersi, hai mai pensato al dopo?

A essere sincero, al momento, non mi ci vedo, probabilmente perché mi rendo conto che fare un salto di qualità di questo tipo significa davvero investire il tutto, anche importanti risorse economiche. Anche se è un mondo che mi affascina molto, questo del karting.. Un mio piccolo sogno sarebbe quello di entrare nel team Laudato come collaboratore del nostro coach.

Per un giovane che oggi pratica lo sport esistono ancora i miti?

In assoluto credo che il mio “idolo” sia il mio manager che mi ha cresciuto ed educato in questa avventura sportiva, Francesco Laudato. Perché è un idolo che è vicino a me, che vive insieme a me, è umano e non un mito irraggiungibile.

E quanto ha contato il ruolo della famiglia?

Ha contato molto il mio fratello maggiore, mio padre . Mia madre, invece, quando viene a vedere le gare non ce la fa a trattenersi e mi sussurra “ Mi raccomando, vai chiano” . In quel momento è la mamma che parla. Ma a fine corsa la senti esclamare con schiettezza “Ma non putivi ì chiù forte”   . E capisco che è la tifosa che ha parlato.

Ringrazio e saluto Francesco con il quale faccio un bel selfie ricordo. Un giovane talento dello sport, ma soprattutto un grande campione di maturità umana, che mi auguro possa comunque restare qui nelle nostre terre e nel modo dello sport perché di persone come lui si ha davvero profondamente bisogno.