Fratelli tutti

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Di Antonietta Gnerre

Più passano i giorni, più la terza enciclica di Papa Bergoglio, la prima dei tempi recenti della Chiesa firmata fuori da Roma (il 3 ottobre scorso) si rivela in tutta la sua profondità e bellezza. A partire dal titolo che il Papa ha tratto da una esortazione di San Francesco: “Fratelli tutti” (del resto, questa è la seconda enciclica di Papa Bergoglio ispirata all’esempio del santo di Assisi, di cui egli ha voluto prendere il nome). Il contenuto riassume e rilancia l’insegnamento in questi sette anni di pontificato. I riferimenti che aprono la Barca di Pietro a personaggi del nostro tempo, non necessariamente cattolici, come Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi, sono una novità assoluta nelle pagine del documento. Mentre uno dei motivi ispiratori più forti è il più volte citato Documento sulla fratellanza umana firmato da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019. In sostanza negli otto capitoli, più una breve introduzione e due preghiere, Papa Francesco sottolinea e affronta i problemi del nostro mondo mostrando come risolverli attraversando il sentiero interiore di una profonda conversione del cuore.

Nel primo capitolo dell’enciclica c’è il lungo elenco dei mali contemporanei. La manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi, le mafie e soprattutto quella “cultura dei muri” che favorisce il proliferare di tutto questo.

Il secondo capitolo, dedicato alla parabola evangelica del Buon Samaritano, parla di una società malata che volta le spalle al dolore alla cura dei deboli e dei fragili. Il Pontefice sottolinea che tutti siamo chiamati – proprio come la figura evocata da Gesù – a farci prossimi all’altro. Dobbiamo solo superare i pregiudizi, gli interessi personali, le barriere storiche o culturali. Perché tutti siamo corresponsabili nella costruzione di una società che sappia includere, integrare e sollevare chi è caduto o è sofferente. L’amore costruisce ponti e noi “siamo fatti per l’amore”, aggiunge il Papa, esortando in particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel volto di ogni escluso. Esattamente come fece San Francesco vivendo il Vangelo sine glossa.

Il Papa indica perciò la via della fratellanza. Che può offrire soluzioni anche a enormi problemi come il fenomeno migratorio, oggetto del quarto capitolo. L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti, perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita. Una cultura sana è una cultura accogliente che sa aprirsi all’altro, senza rinunciare a se stessa, offrendogli qualcosa di autentico. L’enciclica scende anche nel pratico offrendo consigli per gestire il flusso migratorio attraverso corridoi umanitari e altre misure necessarie (forte l’appello ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la fame).

Un’enciclica che chiama in causa la buona politica a cui è dedicato un intero capitolo, il quinto. Perché “La migliore politica” è una delle forme più preziose della carità perché si pone al servizio del bene comune e conosce l’importanza del popolo, inteso come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo. Ampia approvazione dunque per il popolarismo, ma un no netto al “populismo” che ignora la legittimità della nozione di ‘popolo’, attraendo consensi per strumentalizzarlo al proprio servizio e fomentando egoismi per accrescere la propria popolarità. La buona politica inoltre tutela il lavoro e quando aiuta veramente i poveri, non dà loro solo del denaro ma fa sì che possa condurre una vita degna mediante l’attività lavorativa. Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato.

Molti altri temi sono sottolineati nell’enciclica come la riforma dell’ONU. Con la necessità di porre fine alla pena di morte e riaffermare i diritti umani, primo tra tutti quello alla libertà religiosa. Bisogna riappropriarsi dell’arte dell’incontro, che spesso diventa il miracolo della gentilezza. Una persona gentile crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti. In sostanza il Pontefice invita tutti gli uomini a diventare artigiani della pace e dispensatori di perdono che non significa dimenticare tragedie come la Shoà o la distruzione di Hiroshima. Perdono come rinuncia alla forza distruttiva del male ed al desiderio di vendetta.

L’enciclica infine tocca uno dei punti più alti e più belli quando il Papa dà fiato al grido di molta parte degli uomini e delle donne del nostro tempo: “Mai più la guerra fallimento dell’umanità”. E ci fa toccare con mano, attraverso l’esempio di Charles de Foucauld, che cosa significa essere, come quel grande francese diceva di se stesso, il “fratello universale”. Fratello cioè di tutti, senza distinzione di colore politico, di religione, di etnia, di collocazione geografica. Fratello, non più nemico. Il segreto per costruire un futuro diverso.