Genova, il sisma e poi?

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Un proverbio dialettale recita: “Roppo arro, ha miso ‘e porte e fierro” ovvero “ Dopo aver subito un furto la vittima provvede a mettere le porte in sicurezza”. Questo detto di antica saggezza mi è tornato in mente riflettendo sul dibattito che si va sviluppando in seguito al crollo del ponte di Genova e allo sciame sismico che in queste ore fa tremare la terra in Molise. Si tratta di vicende, che al di la del dolore straziante, dell’angoscia e della paura, e anche ben oltre la polemica politica, riportano alla cultura della prevenzione nel nostro Paese. In questo settore si fa davvero poco. Gli stessi segnali che di volta in volta vengono dati dal crollo di un ponte o di un palazzo che si sfarina al suolo sono spesso sottovalutati, ritenuti casi isolati, in attesa delle prossime tragedie. Eppure il problema della sicurezza riguarda la vita di ciascuno di noi. Personalmente voglio qui ricordare quella malanotte del 23 novembre 1980 quando tra Campania e Basilicata, soprattutto in Irpinia, persero la vita circa tremila persone. Quella data rappresenta un momento di svolta nella cultura della sicurezza. Ma anche la testimonianza di un dovere mai fatto fino in fondo. In realtà, dopo quel “Fate Presto” che mise a nudo la fragilità delle costruzioni fino ad allora realizzate, finite in polvere, nacque la Protezione civile. Di questo il “Generale Terremoto”, come fu denominato il commissario straordinario per le aree terremotate, Luigi, Zamberletti, è andato sempre fiero. C’era un ampio capitolo che però esigeva risposta. La messa in sicurezza di tutti quegli edifici che, costruiti prima del 1980, dovevano essere adeguati con criteri antisismici. Da allora, da quella malanotte, sono trascorsi ben trentotto anni.
Sono state realizzate opere faraoniche, a volte del tutto inutili; non tutti i Comuni dispongono di un piano di protezione civile, ma il dato più allarmante è che poco, o quasi nulla, si è fatto per la messa in sicurezza degli edifici costruiti con criteri antisismici. Parole tante, preoccupazioni che si sono inseguite, mai, però, un segnale di impegno vero. Purtroppo buona parte dei fondi del dopoterremoto sono finiti anche nella costruzione di ponti, alcuni dei quali oggi sono traballanti. Ferite aperte ci sono sull’Ofantina, a Castelfranci, nell’Arianese. Certo, la ricerca delle responsabilità per quel che è avvenuto a Genova deve essere severa e rigorosa. Chi ha sbagliato deve pagare. L’importante è mettere a nudo un sistema di irresponsabilià nella gestione dei lavori pubblici che spesso è infetto tra appalti, subappalti, materiali scadenti utilizzato, assenza di un benchè minimo di manutenzione. I toni esasperati e a volte strumentali dei nuovi governanti trovano spazio nella malapolitica che li ha preceduti. Ma sia chiaro: nessuno, e mai, potrà restituire ai propri affetti quelle vite spezzate da un evento che non ha nulla di fatalità e tanto, troppo, di responsabilità non onorate. Un esempio su tutti. Scrivo della città di Avellino, duramente colpita dalla malanotte dell’80. Trentotto anni dopo oltre la metà degli edifici è senza garanzie antisismiche. Certo, c’è un mercatone che fa bella mostra di sè, come monumento all’ignavia, mai utilizzato e affronto alla comunità civile e sociale. Di più: c’è il tunnel, vergognoso buco che ha ferito a morte la città e che sino ad ora ha comportato costi per oltre trenta milioni di euro. Non sembri irriverente nei confronti di chi ha voluto queste opere inutili, ma mi chiedo: non era forse più giusto, semmai con un accordo con gli ordini professionali e le associazioni addette al ramo delle costruzioni, destinare quelle risorse alla sicurezza degli edifici o delle scuole che, come è stato dimostrato, non hanno affatto la necessaria affidabilità? E’ solo una domanda che oggi, più di ieri, merita una chiara risposta da parte di chi si accinge al governo della città.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud