Giustizia e dintorni: la trattativa Stato-Mafia e il processo al processo

a cura di Gerardo Di Martino

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Sono pochi i casi in cui, dalla lettura del solo dispositivo, è possibile comprendere le ragioni della sentenza.

 Il processo per la cd. trattativa Stato-mafia rientra sicuramente tra questi. Se gli alti ufficiali dei carabinieri Subranni, Mori e De Donno – che secondo l’accusa avrebbero tessuto i fili della negoziazione rispetto alla minaccia mafiosa – sono stati assolti per non aver commesso il fatto, la trattativa non c’è mai stata, benché i boss di Cosa Nostra ci abbiamo provato.

 Eppure, anche dopo un pronunciamento così netto, pubblici ministeri, giornalisti e scrittori innamorati della tesi anzi, più correttamente, della ipotesi formulata per sottoporre a processo delinquenti e galantuomini in un unico grande calderone, non si arrendono.

 Siamo alle solite: “si è vero, però…”. Se è vero, ed è vero, non potrà mai esistere un però.

Purtroppo siamo in Italia, dove, avendo colpevolmente smarrito quella indispensabile cultura giuridica che funge da volano per la realizzazione di uno stato di diritto, non opaco ma abbagliante, i “però” si moltiplicano e la situazione non regala grossi spazi di miglioramento.

 Piuttosto, si potrebbe incominciare a fornire risposte alla domanda delle domande, da sempre sul banco degli imputati (non a caso): è possibile riformare un Ordinamento che vede un cittadino ovvero un funzionario dello Stato condannato da un tribunale a 12 anni di carcere per aver brigato con i mafiosi ed assolto in Cassazione, dopo oltre 10 anni, giacché la trattativa non c’è mai stata?

 Bisognerebbe provarci, dando la stura, finalmente, ad una poderosa rivoluzione culturale ed ordinamentale, intrisa di equità, buon senso e pragmatismo, capace di riformare nel profondo il sistema giudiziario mettendo da parte, per una volta, “l’Italia della mezze riforme”.