Giustizia e dintorni – Perchè Indi non deve morire

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Perché Indi e non, invece, Remo, Aurora o Alvin?

Si perché sono oltre 50 i bambini che soffrono, con un quadro clinico variabile, della stessa malattia di cui è affetta Indi Gregory, la bimba di 8 mesi ricoverata in un ospedale inglese e tenuta in vita da macchine che oggi, con tutta probabilità, verranno fermate.

Tante sono le questioni e molteplici gli interrogativi che vicende di questo tipo puntualmente ci restituiscono, con l’unico fine del bilanciamento tra diritti ed interessi contrapposti.

A partire dalla domanda delle domande: perché lei e non gli altri?

“Attualmente, per la maggior parte delle malattie mitocondriali, non esiste una cura e per alcune mutazioni gravi come quella di Indi, non sono disponibili terapie in grado di rallentare il decorso della malattia”.

A parlare non sono i vituperati medici inglesi, spietati ed irrispettosi della vita, ma i professori della facoltà di medicina dell’Università che ha scoperto questa patologia, degenerativa e mortale. Guardate un po’ chi: quelli di Bari.

Si, avete capito bene. Proprio l’Italia. La patria dell’amore e della vita che discute, al contrario, dell’irrimediabilità della situazione che affligge Indi.

Noi, i guerriglieri per la vita, cacciatori di sciacalli dell’orrore e custodi della speranza. Proprio noi sosteniamo come non esistano, all’attualità, terapie in grado di evitare la morte ma sopratutto di rallentare il decorso. Incredibile!

Ma, su tutto, perché lei e non altri che, a differenza della bimba inglese, avrebbero più possibilità di sopravvivere dignitosamente, se solo avessero le stesse attenzioni a lei riservate dal nostro Paese?

Lungi dall’ammettere che le lezioni impartite da questa vicenda siano state più di una – tutte silenziose, ciascuna con il suo portato di valori e significati – rimaniamo impigliati in discussioni tendenti al rapporto tra la terra e l’aldilà, anziché incominciare spingere, dritto e forte, verso il vero bersaglio.

Che a regolare il mondo, non uno qualsiasi, ma “il migliore tra quelli possibili” rimane il diritto, anzi la giustizia e le sue regole che, nel caso di Indi, hanno individuato l’interesse della bambina nella interruzione delle sofferenze, inutili perché incapaci di risolvere, persino di attenuare o rallentare la corsa verso la fine.

Che la scienza, la medicina ed il progresso sono le pietre angolari di ogni Comunità, le coordinate per l’evoluzione, gli assi cartesiani in cui credere, senza che la speranza possa oltrepassare i suoi confini naturali, tratteggiati, a monte, dal credo e dal destino e, a valle, dall’illusione senza la ragione.

Che in un mondo interconnesso, lo è anche la medicina e che, dunque, tutti i progetti sono multicentrici, come le cure, le stesse disponibili al Bambino Gesù di Roma, come all’University Hospitals di Nottingham.

Che non esiste un giudice diverso dall’altro o, addirittura, migliore dell’altro: l’italiano rispetto all’inglese, o viceversa. Ma che ciascuno ha il proprio giudice – a partire da quello naturale – nella posizione migliore per valutare “l’interesse superiore” della bambina anziché quello dei genitori, i quali ultimi si interrogano (come tutti noi al loro posto avremmo potuto fare) sui motivi per i quali non la lasciano andare.

Che la vita, in fondo in fondo, non è altro che una sequela di comportamenti obbligati a fare i conti con “il caso” e con “il tempo”.

Che la giustizia e, dunque, la giurisdizione non possono sfuggire al confronto con le libertà, le scienze ed il progresso. Ma soprattutto non possono prescinderne, senza cessare di essere tali.

Proprio come è accaduto per Indi, finalmente libera dal suo male e del suo dolore, incurabili.

Gerardo Di Martino