Giustizia e dintorni: un avvocato è per sempre

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Si celebra a Roma, proprio in queste ore, l’ultima giornata del Congresso Nazionale Forense, in sessione straordinaria.

Le attese sono enormi. Un Foro in affanno da almeno un ventennio, calato in un Ordinamento sempre più strabico, con i Tribunali sempre più vuoti, una Magistratura sempre più autoreferenziale ed una professione attorcigliata; auto-relegatasi, com’è, in un angolo della società e dei Palazzi di Giustizia.

Ad una crisi professionale già profonda, se n’è aggiunta altra molto più subdola e dilaniante. Un attacco alla stessa abilità a restare in piedi ed uniti: quella economica, del profitto.

L’Avvocatura. Ossia la parte, tra le poche, funzionalmente tesa, per struttura e formazione, a ragionare intorno alla necessità, prima di far comprendere e poi di proteggere le libertà fondamentali, impacchettate da populismi ed indifferenza, dalla deriva politica e dallo scolorimento, per via giurisdizionale, delle loro garanzie.

Un Avvocato serve alla “causa” come l’acqua al deserto. Al pari della quantità.

Nessuno potrà togliermi dalla testa che il numero sia tutto, principalmente in un mercato del lavoro già saturo e privo di valide alternative. Il resto lo hanno fatto le conoscenze e le insegne araldiche, con le dinastie a dominare la scena ed a crogiolarsi in un sistema lanciato a velocità di curvatura verso il baratro.

Non ho mai condiviso l’idea di chi discute di crisi a cagione del difetto di qualità. Si, forse ci sarà pure. Ma è sempre stata, anch’essa, figlia del vero nodo: il numero!

La specializzazione e le capacità possono fare e faranno la differenza, ma in una condizione di normalità. Quando la composizione degli Albi forensi assume le forme che abbiamo dovuto patire nell’ultimo ventennio– per miopia di chi avrebbe dovuto prevedere e gestire i flussi, creando adeguati sistemi di accesso ed alternative di lavoro – beh allora è il numero a terremotare il sistema, inevitabilmente ed indiscutibilmente.

D’altro canto, e da sempre, è la quantità a fare la differenza: se la torta, già in contrazione, si spartisce in cento anziché in diecimila, il pezzo che finirà sulla tavola di ognuno, sarà più grande o più piccolo? Ciascuno, logicamente, trangugerà di più o di meno? Oibò.

Ma, per fortuna, il Congresso straordinario ci sta regalando perle diversamente preziose.

Partiamo dalle patacche.

Il Ministro della Giustizia, in videocollegamento da Atlanta, ha promesso “agli Avvocati pari dignità”. Se dobbiamo stare all’attuale epilogo che hanno incrociato le promesse ed i programmi di Nordio, siamo belli che fritti.

Il Presidente della Cassa Forense, da parte sua, ha segnalato la volontà di costruire una previdenza più equa. Bene. L’ultima stangata in arrivo per Natale sull’albero degli Avvocati italiani è un buon inizio. Ben rappresenta l’incapacità di “essere” e di “contare”, in uno all’inadeguatezza della classe dirigente: se nemmeno su ottocento euro si è risusciti a resistere rispetto alle richieste dei Ministeri Vigilanti, immagino cosa potrà accadere con la riforma della nostra previdenza in discussione nelle stanze dell’Esecutivo.

Dalla relazione del Presidente del Consiglio Nazionale, invece, arriva la vera perla, quella dei mari del sud, la Pinctada Maxima: sono stati novemila i praticanti che pochi giorni fa hanno sostenuto l’esame di abilitazione alla professione forense. Solo nel 2021, i partecipanti furono ventiseimila (avete capito bene).

Qualcosa si muove, finalmente.

L’impossibilità di prevedere un degno compenso per il lavoro svolto e la chiara irrealizzabilità dei sacrifici di una vita, ha spinto sempre più giovani, nell’ultimo biennio, verso altri lidi.

La nostra generazione, la mia e quella di chi con me ha condiviso questi lunghissimi anni (e condividerà i successivi) certo non ne beneficerà granché, avendo già assorbito, tra l’altro, il peso e la dimensione economica di un’enorme croce sociale.

Ma tra dieci o, meglio, quindici anni, i nostri ed i loro figli potranno finalmente vedere e nuovamente godere dell’Avvocatura.

Al pari dell’idea che una trentina di anni fa ha spinto tutti noi a credere di poter lottare per uno Stato capace di avere, come obiettivo primario ed indisponibile, la protezione e la salvaguardia dei diritti e delle libertà di ogni cittadino. A qualsiasi prezzo, anche a costo di fare “un piacere”.

Gerardo Di Martino